La parola, al singolare e non le parole al plurale. La singolarità di questa nostra parola plurale – la parola della Befana – si è espressa negli anni:
- in discorsi e discussioni, pubblici e politici;
- in ricerche e sperimentazioni di linguaggi: espressivi, figurativi, teatrali, concettuali, musicali…
- in una riflessione continuativa sul linguaggio e la parola dell’infanzia.
Parola plurale, non è un coro; è di tanti, ma fuori dal coro!
È contro le parole impersonali ed anonime: contro l’usura delle parola, la ripetizione formale e vuota del “si dice”; contro la parola che è specchio e riflesso del già dato e dunque contro la parola della violenza e del dominio.
È insofferente rispetto alle parole dominanti. Alle parole rapide e senza riflessione, parole d’odio: offese e insulti razzisti, a sfondo sessuale, ingiurie contro le minoranze, pregiudizi rivolti ai più deboli. Sono parole che si vogliono sovrane e perciò paranoiche, atti incendiari che disumanizzano l’altro e legittimano la violenza. Buone solo per comandare e obbedire: sono parole nere!
Diciamo che non sono rispettose. Né rispettano l’altro, né rispettano la realtà o, se vogliamo spendere un termine più alto, la verità. Sono così parole avvelenate: non accettano la legge del tempo che ogni riflessione richiede, non hanno la pazienza necessaria all’argomento complesso, né la prudenza nella scelta, né la parsimonia nell’uso. Me ne frego, tiro dritto! E così le parole vengono sprecate… le parole della pubblicità, della propaganda e dello slogan.
La parola della Befana non dice il già detto, è una parola che fa, che dicendo fa.
Fa perché è una parola poetica.
Vorrebbe mettersi all’altezza – ma non ci arriverà mai – della parola dissidente dell’infanzia. Quest’ultima vede e porta il nuovo nel mondo, anticipa e attende il futuro, senza chiedere nulla… ha infatti tutto il futuro ancora aperto avanti a sé. La fantasia e l’immaginazione – la facoltà più segreta nascosta nel più intimo dell’animo umano – esplora, congiunge e disgiunge, inventa e crea dal nulla… apre mondi nuovi, vede l’invisibile e dice l’inaudito. Giocando svela l’inganno di un mondo fatto di utensili, ruoli e funzioni, per dire che ogni cosa è molto di più, che il senso di ogni cosa sono mille altri sensi… che una sedia non è solo per sedere... Il mondo è più largo. Ora questa parola dell’infanzia è espropriata o meglio esiliata. L’infanzia è massimamente sacrificata, anche se, in apparenza, la nostra è l’epoca del bambino. Tutelato nei diritti contenuti nelle convenzioni e nelle dichiarazioni, eppure ancora privato delle cure, costretto al lavoro, affamato e ucciso. Ricostruita a partire da quanto ne pensa l’uomo adulto, di fatto la condizione del bambino è negata. In questo caso, la violenza nei confronti del suo modo d’essere è simbolica: il bambino viene disciplinato e reso prevedibile. Ordine, ubbidienza e diligenza, ecco il bravo scolaro! Prodotto di un modello educativo basato sull’isolamento, la competizione e il rendimento, sull’eccellenza. Socialmente, il suo immaginario – quanto dovrebbe infinitamente generare e rigenerare – gli viene sottratto. Viene standardizzato. La fantasia è così al servizio del consumo, come uno spazio di felicità surrogatoria o come fabbrica dei desideri, fine a se stessa. Ma perché? Sterilizzata l’immaginazione, il veicolo della speranza e dell’utopia che sempre ha aperto al cambiamento, l’addomesticazione è compiuta, siamo all’accettazione passiva del presente. Questa congiura contro l’infanzia allora è dovuta al fatto che il bambino è un dis-sidente: significa che è qui eppure, al tempo stesso, anche altrove; sappiamo bene che questo è il regno dell’infanzia, a noi inaccessibile, eppure qui tra noi!
Il bambino pertanto, dissidente, è sempre un ribelle, punta i piedi e non vuole venire dove lo vuoi trascinare! La parola dell’infanzia è esiliata perché ribelle, perché fa paura!
Fa perché raggiunge l’altro.
Qui le parole sono altre e alate e così sono parole che raggiungono l’altro: “nei giorni di siccità la parola è d’acqua e il volto di un amico la nube attesa”! Sono lettere dal paradiso, non sono parole di sfida, ma parole di fiducia. Così si rivolge la parola del bambino, affidandosi… E la parola di fiducia è una parola di liberazione… Questa parola è sociale. Lo è per due ragioni: perché libera chi è solo e, muto, non sa più parlare; e perché è collettiva, dà coraggio. Certo, sappiamo che, raggiungendo e toccando, può essere anche violenta: ingannando e seducendo, persuadendo e manipolando, confondendo il vero e il falso, può soffocare le risposte in gola ai deboli. Questa nostra parola singolare e plurale – la parola della Befana – è efficace, ma cerca di non essere violenta, innanzitutto di fronte ai bambini. È la ricerca di una parola giusta, nell’espressione che è insieme stile espressivo – soluzione artistica – ed intenzione e volontà. È appunto una costante ricerca (non si impone rapida e sicura, piuttosto esita; quelli del neonato sono tentativi: ba-ba-ba…, la-la-la…), perché la misura del giusto e dell’ingiusto non ci appartiene, non la decidiamo noi, ma ce la dà sempre l’altro: ce la indicano la sua delicatezza, la sua tenerezza e fragilità, oppure le fatiche e sventure di queste povere anime in pena.
Parola e voce. Questa parola della Befana, singolare e plurale, è unica. Unica, in quanto è una parola che fa, è pertanto concreta; è una parola incorporata. La parola della Befana si esprime con la sua voce, ha un tono unico e un timbro, una grana inconfondibile, legata alla vibrazione di un corpo, al luogo, alle persone fisiche, ai loro gesti… Vibrano e risuonano, e quando la mente ed il corpo si danno un cenno d’intesa, la parola diviene emozione e azione: è il momento della festa!
C.C.A. Laboratorio Befana 2019 - Mario Vergani
i contributi:
I primi scritti riguardanti la Befana 2019
Filastrocca - Felice Viganò:
portato di città in città
di casa in casa
ancora un giorno s'inizia
come l'orso delle favole
portato di piazza in piazza
a suonare l'organetto
ancora un giorno s'inizia
con il grido dello zingaro
che annuncia lo spettacolo
e tutti i bambini affacciati
dai filari saltellanti dei tetti
o appesi a nuvole di cartone
Parole di laboratorio - Flavio Rurale:
La parola ha bisogno del silenzio
per essere detta, per essere ascoltata.
Tra le parole urlate, dentro le grida e la confusione
la parola si perde,
esausta muore
inascoltata, senza passione.
La parola è pudica, è timida, a volte è muta e sorda,
s' astiene, s'offende, si scansa allora,
mutila s'arrende.
La parola è stanca, non esprime niente.
La parola dell'altro ha bisogno del silenzio,
l'altro parla, io, tu noi tutti in silenzio stiamo,
per poter capire, per comprendere, per rispondere se necessario.
Spesso la parola ha solo bisogno di essere ascoltata.
Ma il silenzio da indifferenza generato
non genera parole:
silenzio che non reagisce, silenzio che tace, silenzio che umilia, silenzio che non accoglie,
silenzio di indifferenza vestito,
silenzio pauroso, che ha paura e genera paura,
silenzio timoroso.
Non fa il primo passo, si scosta al primo passo,
silenzio che tace e suscita mutezza,
silenzio che genera sospetto,
silenzio a bocca chiusa ...
. o silenzio a bocca aperta?
Silenzio a bocca aperta, sì, silenzio pieno di meraviglia!
La parola si riprende, ritrova se stessa, non più s'astiene,
si ripiglia.
Parola sussurrata, parola sincera,
parola che trafigge talora, parola vera.
La parola vera è parola austera,
sa farsi ascoltare, lascia a bocca aperta,
sa di nuovo meravigliare.
La parola vera fa nascere parole.
La parola incontra chi ascoltando parla,
parola mia e tua,
parola sua,
parola nostra, loro, vostra.
Parole che parlano davvero, parole vere
parole che incontrandosi svelano paure, ricordi, idee,
svelano sogni e desideri.
Parole nate dall'ascolto, nate dall'incontro,
allora la parola ascoltata è decifrata è compresa
e svela l'altro che parlando domanda, si spoglia, si umilia.
Parole che solo dopo lungo tempo son fatte per camminare
per correre e creare,
parole che mutano di nuovo, cresciute allora, moltiplicate,
parole ricche e varie, pronte a vivere, pronte a lottare.
Parole mie, tue, sue, Parole nostre da realizzare.
Parole da Laboratorio,
audaci allora, potenti, creative, vere.
Si fanno colori le parole, si fanno forme e azioni,
si fanno gioco, si fanno maschere e aquiloni, cavalli e burattini.
Striscioni si fanno le parole, parole disegnate, forgiate, cantate,
parole dette parole ascoltate.
PAROLA D'ORSO - Canzone:
RIT: Portato ancora di casa in casa un nuovo giorno inizierà
Senti il richiamo della parola ed esci ad ascoltar.
Sono l'orso che sta in piedi che ti aspetta sulla via
Sto suonando l'organetto sembra quasi una magia
Vieni qui vicino a me non ti sbranerò
La mia bocca può ringhiare ma non lo farò
RIT: Portato ancora di casa in casa un nuovo giorno inizierà Senti il richiamo della parola ed esci ad ascoltar.
Tu mi guardi e vuoi sapere dentro il bosco sono nato se mi annusi da vicino senti il mondo che ho lasciato puoi toccar la mia pelliccia di sbranarti non mi va
ha un odore di foresta che non se ne va.
RIT: Portato ancora di casa in casa un nuovo giorno inizierà Senti il richiamo della parola ed esci ad ascoltar.
In segreto ti propongo di iniziare con me un viaggio non temere ti proteggo sono grosso e con coraggio per far ridere la gente ora fingerò
se mi fai un verso cattivo mi spaventerò
RIT: Portato ancora di casa in casa un nuovo giorno inizierà Senti il richiamo della parola ed esci ad ascoltar.
Ce ne andremo nelle piazze lungo i fiumi per le strade a raccogliere parole di paesi e di contrade
Tu racconterai le storie per altri bambini sarai zingaro felice che non ha confini (2v)
RIT: Portato ancora di casa in casa un nuovo giorno inizierà Senti il richiamo della parola ed esci ad ascoltar.
Ogni anno la "Befana" svolge e articola un tema sempre diverso. La scelta del "titolo" nasce non tanto da una casualità o una improvvisazione estranea a tutto ma da un sentire, un esplorare i momenti della vita sociale e culturale che più ci allontanano dalla sua partecipazione.
Per questo la "Befana" si avvale di tanti contributi verbali e scritti.
Contenuti verbali per avere la conferma o la critica del nostro "sentire" per quanto riguarda l'importanza di questo mito, la Befana, principalmente rivolto ai bambini ma dove gli adulti richiamano ed esplorano le loro emozioni che incidono sull'immaginario collettivo. Da questo "parlare" si concretizzano poi i pensieri in contributi scritti.
Su questi ed altri scritti si apre spesso il dibattito, il confronto con operatori ed educatori ma anche semplicemente con genitori e persone che hanno a cuore la salvaguardia della poeticità e della meraviglia del mondo infantile al quale la Befana e il suo mito di passaggio tende.
Apertura Laboratori: da Ottobre 2018
Laboratorio Costruzioni: tutti i giorni dalle 14,30 alle 18,30
Laboratori aperti a bambini e genitori: sabato e giorni festivi dalle 15,00 alle 18,30
Luogo: Capannone via dell'Isola - Agliate
Per informazioni: 339.5984689
Dal 1987 l'arrivo della Befana sulle acque del fiume Lambro la vigilia dell'Epifania è diventata una teatralizzazione che si svolge nei pressi del ponte di Agliate (MB)
Promosso da Associazione Commissione Cultura Alternativa (CCA) di Carate Brianza, dal Comitato per il diritto al Mito-Festa dei bambini e dalla gente della valle del Lambro.
In collaborazione con: Comune di Carate Brianza, Comune di Verano Brianza
Con il patrocinio e il contributo dei comuni: Città di Besana in Brianza, Comune di Sovico
Con il patrocinio di: Regione Lombardia, Provincia di Monza e Brianza, Commissione Europea, Parco Valle del Lambro, Legambiente e i Comuni di Albiate, Briosco, Giussano, Macherio, Triuggio, Vedano al Lambro, Veduggio con Colzano
Con il patrocinio e il sostegno di: Consorzio Comunità Brianza
Con l'adesione di: Emergency Gruppo Monza e Brianza
Per informazioni Tel. 0362-906294 Cell. 3395984689 e-mail: rosesco@tin.it