ONDANEIRA: Il Lambro, le paure e l'immaginario dell'infanzia
BEFANA SUL LAMBRO 2011 5 gennaio 2011 ore 18.30 Agliate
Befana 2011: Ondaneira: Il lambro, le paure e l'immaginario dell'infanzia
Ci è sembrato naturale quest’anno dedicare la Befana sul Lambro al drammatico episodio di devastazione ambientale che il fiume ha subito recentemente. Solo alcuni dati per richiamare l’accaduto: nella notte tra lunedì 22 e martedì 23 febbraio 2010 è stato provocato un versamento di circa 2,5 milioni di litri di idrocarburi (pari a 170 autocisterne) fuoriusciti dalla “Lombarda Petroli” di Villasanta. Nonostante i ripetuti tentativi di arginare la marea nera, questa ha attraversato il fiume e si è scaricata nel Po, provocando enormi danni all’ecosistema e uccidendo numerosissime forme di vita vegetali e animali di un fiume, il Lambro, già tra i più inquinati d’Europa, oltre che dei territori circostanti, rive e canali collegati. Tracce di versamenti sono stati trovati anche a monte di Villasanta; dunque c’è stato chi ha approfittato del disastro per compiere un ulteriore crimine, scaricando in acqua illegalmente i liquami dei quali non sapeva come liberarsi. La coltre nera dalla superficie si è quindi depositata sul fondo, asfissiando il respiro del fiume. Il 24 febbraio è stato aperto un fascicolo contro ignoti presso la procura della Repubblica di Monza con l’ipotesi di reato di “disastro ambientale”
Siamo partiti da questo disastro e su questo abbiamo avviato la nostra riflessione. Ora, in che modo tutto ciò si riferisce al tema di quest’anno - Befaneira (danza macabra) - è immediatamente evidente. Di fronte all’onda nera la Befaneira. Sembra poco? Che razza di argine è mai questo? Di fronte a un disastro ambientale di tali proporzioni stiamo a scherzare? A questa pur ragionevole obiezione è necessario rispondere testardamente: non sottovalutiamo la Befaneira.
Vogliamo aggiungere un’altra premessa: quest’anno la riflessione è stata avviata a rovescio. Non quindi da un problema più teorico, ma dalla visione condivisa di una serie di schizzi e dipinti di Enrico Mason di grande forza drammatica e poetica, dai quali traspariva, ci sembrava, un’idea ricorrente che abbiamo cercato di rappresentare anche a livello discorsivo. Ne è uscita l’idea della Befaneira (danza macabra), un testo più letterario che concettuale e che ora, per cominciare, leggeremo.
Mario Vergani
Befaneira (danza macabra):
Il sudario nero copre il volto del fiume senza più respiro. Orrore della decomposizione e del lezzo che emana!
Chi avrà il coraggio di sollevarlo?
La Befana avanza, i cuori tremano, gli animali tacciono, gli orologi cessano di battere il tempo. Di fronte all'istante sospeso, alla porta dell'impossibile.
Un gioco di polso della vecchia, cade il velo e si apre il sipario: sono scheletri di pesce scintillanti, fanciulle che scivolano accarezzate dall'acqua e scendono a valle, monili e maschere d'oro senza espressione...
Sarcofago e scrigno, il fiume vomita i suoi tesori.
Ha inizio la Befaneira - verminaio e danza - il carnevale macabro che possono vedere solo gli spettri, i cani col pelo irto e i bambini dal cuore intrepido.
i contributi:
I primi scritti riguardanti la Befana 2011
Forse la vita
Forse la vita, tutte le vite insieme, la Vita universale si intersecano e incontrandosi si modificano e modificandosi si ricreano e cambiano. Le morti e le nascite intervengono a segnarne singolarmente confini e durate, ma in una visione dall’alto, globale, i tempi si allungano ed i confini si allargano. Esiste un grande “bollitore” di vita dove il singolo perde importanza e si rende più nitido il concetto di genere umano e ancor di più di esistenza, animata oppure no.
ed in questo bollitore cosa ci sarà?
Acqua, acqua, acqua!!!
L’acqua dei mari, dei fiumi, acqua piovana, acqua del rubinetto o dello sciacquone…
E questa acqua scorre, si muove, trasforma e si trasforma, ridisegna confini e cose, inventa nuove esperienze, distrugge e ricostruisce, uccide e crea nuova vita. L’acqua si infiltra e spacca, scende nelle viscere della terra e diventa vita per l’uomo e per gli esseri.
Spesso ho tentato di definire il lavoro del Laboratorio. A volte mi sono arrampicato per definizioni quasi artificiose, ma non ho mai considerato, fino a poco tempo fa, l’ovvio, la cosa più vicina a noi.
Il fiume.
Il Laboratorio e come il nostro Lambro, anzi, ne scimmiotta pallidamente le azioni quasi fosse un tenero tentativo di avvicinarsi al suo essere.
I punti di contatto pensandoci sono davvero tanti se li dipingiamo un pochino con i colori dei bambini.
Il Fiume-Laboratorio attraversa terre e città, boschi, anni, miti temi e fantasie e unisce genti e persone alimentando l’immaginario ed irrigando i campi regalando raccolti. I pensieri degli uomini lo costellano come pesci e ghiri, poiane e germani. Diventa gigante buono e mago cattivo, folletto dispettoso o fatina azzurra. E ancora, accarezza, racconta, inventa, colora, va in secca e straripa, dirompe e si ritira (Mason docet). A volte sta in silenzio e lo stai a guardare come il pescatore, altre sussurra e poi grida e tu scappi come il topo.
Panta rei.
In tanti anni una miriade di emozioni diverse hanno popolato questo laboratorio ed ognuna, con modi diversi, ha contribuito al suo esistere, gli ha dato la possibilità di renderci migliori.
Già…. renderci migliori. Per poter migliorare socialmente e, perché no, politicamente (nel senso più puro e dimenticato del termine) è necessario non ritenersi migliori. Sembra un giochetto di parole, ma non lo è. Assolutamente.
Il fiume ha sempre da insegnare per chi tende l’attenzione
Il laboratorio della nostra mente deve essere sempre teso.
Tante delle emozioni che hanno costellato il “Befana-torio” si sono poi tradotte in parole che sono “sfociate” (il fiume c’entra sempre) in piccoli scritti. Tanti anni, tantissimi scritti che hanno “guadato” tempi ed avvenimenti diversi, fantastici, terribili ed anche normali. Scritti che hanno il profumo d’acqua pulita, di cascata ed il colore di certi giorni d’ottobre quando i tigli sono gialli e le robinie lasciano foglie come se nevicasse.
La maggior parte delle emozioni sono rimaste in silenzio, non sono diventate parole solo perché troppo grandi, ma sono servite lo stesso a raccontare ed hanno raccontato e preso per mano, sono state fiori gialli e lune piene per il fiume. Sono rimaste negli occhi e ancor di più nella mente.
Si, perché alla fine il fiume è nella mente.
gialle le foglie
di robinia tremano
soffia novembre
A.S.
I Raccoglitori di Rugiada
Ecco,
l’Uomo si scopre nudo
al cospetto della macchia.
Non c’è luogo,
non c’è anfratto che lo possa proteggere.
Giace,
prigioniero della sua creatura turpe,
di tutte le brutture la peggiore,
delle insidie la più strisciante.
Crocifisso
ad invocare una goccia di rugiada,
con la mente arsa,
con l’anima deserta.
Non un dio, non una pace.
Solo lui,
nudo
e una speranza negata.
A.S.
La Bestia
Oggi non ho voglia di fare, non ne ho mentalmente la possibilità. Esco dal laboratorio e vado di là, al Lambro. Vado per la boscaglia, dove nessuno passa mai e mi fermo appoggiandomi ad una robinia: sempre uguale e sempre diverso, il fiume. E’ il laboratorio della Natura.
Dopo le piene ripetute di questi tempi, nuove sono le sponde e le secche, ma… ecco… sorpresa…
Sento un fruscio vicino a me. Sto fermo, immobile, solo il pensiero prende accelerazione. Un topo spunta da sotto il ciglio della sponda e si muove con rapida circospezione. Lui è lo stesso, da sempre, si adatta, cambia. Quasi indifferente continua le sue veloci e precise attività. Strano deve essere un nottambulo, visto che esce di giorno. Si ferma e mi guarda. Fermo io, fermo lui. Dura un istante e in un istante mi ha detto tutto. Uno sguardo ha sintetizzato interi volumi sull’inquinamento e sulle azioni forsennate del genere umano.
E dopo un istante mi ha ignorato.
Capisci? Mi ha guardato e mi ha ignorato! Come se fosse l’uomo già perduto, non degno, perso e già affogato nell’onda da lui creata: delle onde la più nera, delle velenose la più velenosa per la sua malata coscienza.
Ancora appoggiato all’albero, le mani in tasca, respiro piano come quando, passato un pericolo, si riprende il controllo di sé. Non mi ha fatto schifo il topo, solo mi ha disturbato il suo rimprovero, il suo ciclopico monito. Avrei voluto dirgli che si stava sbagliando, che l’uomo è capace di reazioni che lui neanche immagina… ma non c’è stato il tempo. Lui è ritornato alle sue faccende o a dormire. Lui si arrangia e si aggiusta, sopravvive in condizioni che per noi sono mortali.
Eh, ma lui mica ragiona! E’ una bestia e delle peggiori. Vive dentro l’immondizia, nello sporco, nelle rive dei fiumi che, si sa, sono il ricettacolo delle urine e delle cloache della città, dei veleni e delle cattiverie che portiamo dentro i nostri vestiti, delle lavatrici rotte che hanno lavato e poi diventano sporco. Costruisce la sua tana nei pneumatici neri che non ci servono più e che, generosamente, regaliamo all’acqua. Insomma è il topo e sappiamo tutti di cosa stiamo parlando!
Topo! E basta.
Topo ritorna che ti devo parlare, fammi spiegare! O fammi raccontare delle scuse…
Non lo so.
haiku del topo
veloce il topo
lento lo sguardo volge
giorno di pioggia
A.S.
ONDANEiRA
In relazione al Lambro, la parola “ONDANEiRA” evoca in me il ricordo dello sversamento di questa primavera. Un evento funereo per tutti: per il fiume, per gli animali, per gli uomini, per la giustizia (eppure già dimenticato). Ma quella “i” minuscola, infilata in mezzo le conferisce una connotazione…quasi festosa!
Mi sembra davvero caparbio voler dare a tutti costi una pennellata di colore all’ondanera. Perché? Fatico a capire questo tratto di sentiero così importante per Mason.
Fatico perché non sono lui, ecco!
Se non afferrerò la sua istintiva delicata attenzione diritto al mito e alla festa e all’ancora più difficile combinazione “mito-festa” in relazione ai bambini, non potrò mai capire a fondo. Se non trasferirò il vissuto al laboratorio all’immaginario di un bambino, non c’entrerò mai veramente li dentro.
Questa è forse la chiave per aprire veramente il lucchetto di quel capannone così naturalmente importante per noi.
Il lavoro, le fantasie, i pensieri che lì dentro nascono e si evolvono, non devono centrare la nostra realizzazione. Noi siamo il mezzo, non il soggetto che invece è nascosto, in qualche modo perennemente in erba. Si, perché il soggetto sono le uniche menti veramente aperte di questo mondo e degli spettatori della Befana: le menti dei bambini. I bambini sono sempre nuovi, si inventano ogni volta e ogni volta rinascono. Sono loro la nostra meraviglia, sono loro l’investimento della nostra fantasia. Per questo le nostre costruzioni, al laboratorio e nella vita, non devono essere precise, “in squadra”, simmetricamente perfette. Devono lasciare uno spazio all’errore, all’immaginazione. I bambini non sono precisi quando giocano, cambiano le regole, inventano di nuovo il vecchio.
Per la prima volta, in questi anni di laboratorio, il concetto mi è così chiaro. L’ho sempre intuito, mai capito veramente.
Il mito-festa si mostra senza regole, a volte con l’aspetto dell’assurdo…ma solo per noi, ormai troppo spesso abili venditori di sogni premasticati ed in parte già digeriti.
Così l’ondanera può diventare un gioco, di danze e fuochi, spaventoso ed allegro, di morte e di vita.
A.S.
Piove
Questo pomeriggio piove, un primo schiaffo d’Autunno. Vado al Laboratorio, sono solo. Mentre guido penso che là saranno già al lavoro, che quando arriverò mi sentirò accolto dalle voci. In effetti mi piace, quando arrivo al capannone, fermarmi un momento fuori dal portone ad ascoltare i suoni e le voci. Scendo dall’auto e… il Laboratorio è chiuso, col lucchetto. Inaspettata questa possibilità, definitiva. Piove.
Sono indeciso sul da farsi: torno verso casa o telefono al Mason? Opto per la seconda possibilità.
Un “pronto” sfiatato mi risponde.
Ciao Enrico, dove sei?
A casa.
E tu?
Al capannone ma non c’è nessuno.
Scendo ora…però forse è meglio che vieni a casa mia, ho tirato fuori un po’ di cose vecchie da leggere.
Suono il campanello “Chi è?” dicono da dentro. “Sono io” ed entro.
Lui ha due occhietti da appena svegliato, il cuscino sul divano ha ancora la forma della testa.
No, non dormivo (bugia), sono rientrato adesso (doppia bugia).
Dopo i primi attimi di “presa di contatto” Enrico mi fa sedere al tavolone e comincia a sparpagliare le carte, i plichi. E si comincia.
Dopo qualche incertezza iniziale,l’entusiasmo viene a galla e i pensieri si formano ed intrecciano. Capisco che anche questo fa parte del laboratorio. Mentre si parla si materializzano possibilità ed idee prima sconosciute, si palesano nuovi orizzonti, o meglio, gli stessi orizzonti e temi con interpretazioni diverse e nuove collocazioni. Il confronto diventa magicamente costruzione, comprensione e affinamento.
Corrono sul tavolo libretti, fogli, vecchi articoli di giornale, documenti. Tutto testimonia un impegno soprattutto sociale della Befana, un troppo spesso silente lavoro recupero del perso che attende, ogni anno attende, una risposta, un riconoscimento che tarda. Il riconoscimento che non deve finire all’arrivo della vecchia signora, ma che deve continuare negli atti, nelle azioni. Vero, molto difficile trovare un anche piccolo spazio da dedicare al mito, ai ricordi, alle fiabe del fiume.
Viviamo in un periodo in cui tutto deve servire a qualcosa e servire subito: pronta cassa, pre-pensato-masticato- da altriinterpretato e servito sul piatto del mercato. Qui, diventa difficile imparare dagli errori, fare gli errori, cambiare idea, tornare indietro per riprendere da un’altra parte, in poche parole, vivere con coscienza.
Il fiume lo sa bene e sopporta con pazienza, con quella pazienza che non conosciamo più
A.S.
Ridono e Contano
Ho cercato il sogno e non l’ho più trovato. Ho faticato tanto per realizzarlo, perché i sogni a volte si realizzano, e lui non c’è più. A volte lo si insegue per anni, ci si spellano le mani per costruirlo e poi basta tanto così e svanisce.
Qualche giorno dopo l’ennesima morte del Lambro sono andato, ho corso fino al vomito ed il vomito è arrivato.
Nell’acqua del fiume c’erano fino a settimana scorsa addirittura i pesci, gli animali delle sponde avevano ricominciato a lavorare e finalmente il Selvatico poteva aggirarsi senza grande paura tra le pietre e gli alberi. Anche gli uomini scendevano di più al fiume, riprendevano contatto, riconquistavano la sua fiducia. Non poteva durare chiaramente. In tutte le fiabe il cattivo arriva, sempre. Conforta però, sempre nelle fiabe, che il bene vince, sempre.
Nella fiaba del Lambro, no. Qui vincono i cattivi e mentre vincono ridono e mentre ridono contano i soldi, perché di soldi si tratta. Il fiume nei secoli ha sempre dato ricchezza e aiuto ma faceva parte della vita stessa degli uomini che erano consci della sua importanza. Poi è servito per lo scarico dei solventi dei grandi mobilifici e per gli acidi delle tintorie industriali e più a valle per canale di scarico delle aziende farmaceutiche e, ironia della sorte, in pianura per scolo dei pesticidi e l’irriguo delle coltivazioni(!!). Ora molti vogliono che “lui” sia una faccenda da tenere lontana, relegata a cloaca maxima, a fogna, a posto infrequentabile dove nascondere lo sterco della società come la sporcizia sotto i tappeti. Guai a chi si avvicina! Il fiume non deve essere più oggetto dell’immaginario, del sogno, anzi sarebbe meglio (come dice Luca che mi scuserà per la citazione) coprirlo con una bella colata di calcestruzzo e poi farci un bel parcheggio ordinato e pulito con tutte le strisce ben segnate e i parchimetri. E sotto la merda.
Il Lambro è buono e anche questa volta, con questo sversamento, porterà ancora ricchezza sottoforma di un fiume di finanziamenti con i provvedimenti per l’emergenza (scavalcando quindi gare e regole normali per l’assegnazione degli appalti) per la bonifica delle coscienze e l’arricchimento delle tasche. E le terre? Sulle terre bonificate si costruisce, no? Una ex raffineria in naturale decadenza e rovina quasi inservibile, tutti questi metri di terreno vicino alle tangenziali ed alla prossima autostrada pedemontana varranno bene un po’ di petrolio nel fiume!! Poi mica è penale (precisamente dal 2 febbraio 2010).
Le eco mafie ridono e mentre ridono contano i soldi.
I sogni ritornano nelle menti e mentre ritornano piangono.
E noi a guardare la televisione e dammi un grattaevinci.
Divide et impera.
A.S.
Selvatica Mente
Cos’è questo odore? E’così forte che mi ha svegliato. Il cuore batte forte e comincio a correre giù per la sponda del Lambro fino all’acqua, fino a bagnarmi i piedi. Devo stare attento a non farmi notare e mi nascondo, ora dietro un cespuglio, ora sotto un rovo o tra un gruppo di robinie. C’è gente in giro, incredula. Devo stare attento. Ho bagnato i piedi, ma non è acqua. E una cosa nera e appiccicosa, puzza. Ho visto le macchie di tutti i colori in questi anni, ogni tipo di schiuma, ma questo…questo mai. Mi sposto più a valle e le cose peggiorano. Ho le mani nere, ma cos’è? Il fiume è nero e denso e tutto è coperto. I germani sono fermi e inzuppati, col becco aperto in una smorfia di morte, senza voce. Parla germano, parlami e canta di nuovo le favole dell’acqua! Nulla. Lo prendo tra le mani e gli pulisco la testa…non ci vede più. Lo appoggio piano sulla riva. Col bastone muovo la melma sopra l’acqua e qualche pesce subito affiora boccheggiando. Mi dice di andarmene, di scappare dall’uomo. Non posso! Io sono il suo altro, la sua fantasia e la sua paura, lo sconosciuto. Se scappassi non avrebbe più nulla, sarebbe un automa buono solo per spaventarsi del suo stesso essere, buono per quella società cialtrona e becera. In tutti questi anni di bosco e di fiume ho imparato ad ascoltare l’anima degli altri, sono riuscito a farne parte. Gli animali, uomo compreso, sapevano che io vegliavo, che stendevo compromessi fra loro e la natura, fra loro e la loro paura. Ora la paura è più forte ed è diventata una e grande e sopra tutti. Non sono più in grado e mi sembra solo di fuggire, solo di nascondermi. Sono inutile. E allora…allora distruggetelo questo fiume, violentatelo pure ridendo della sua agonia, cancellatelo, toglietelo dalla vista e dalla fantasia. Giratevi e guardate da un’altra parte e lasciatelo gridare, in silenzio, inutilmente. Io lo sento gridare, tutte le notti. Sento i suoi animali e le piante.
Ora è stranamente silenzioso, morto e morti gli animali.
Da molti anni guardo l’uomo da lontano e fatico davvero a capirlo: calpesta la sua vita. Chi mai potrebbe avvelenare la sua stessa vita? Lui lo fa e poi si nasconde.
L’odore mi dà alla testa: mi fa male e mi gira, devo allontanarmi e risalgo il pendio per respirare. Devo spostare il mio capanno più a monte, più lontano, perché tra poco qui brulicherà di uomini disperati e piangenti e non potrò più nascondermi.
Forse, però, è ora che io non mi nasconda più.
Forse è meglio che io cammini in discesa verso il letto, del fiume e mio a respirare e bere il veleno delle vite disperse e annegare nella melma nera, prima che venga sera...
A.S.
Befaneira - Danza Macabra
Quanto è accaduto sul Lambro ha prodotto dei danni enormi. Innanzitutto sul fiume. Questo scempio richiede un intervento umano, delle politiche ambientali che saranno lunghe e faticose e che necessitano di investimenti che non possiamo esimerci dal richiedere con tutta la forza possibile. In definitiva però - ci riferiamo al caso specifico - il fiume stesso, la natura riassorbirà il danno. La natura metabolizzerà, sanerà, suturerà le ferite che l’uomo le infligge. A fronte di questa ingiuria compiuta sul corpo del fiume la risposta, necessaria, sarà ecologica. Ma non basta. Perché qui si è prodotta un’ulteriore ferita, più profonda e dunque più difficile da curare. Una ferita nell’immaginario. Se la natura sana le ferite dell’ambiente, chi sanerà le ferità dell’anima? Ora la risposta in questo caso non può essere ecologica, ma culturale, poetica, simbolica. Questa è la risposta del laboratorio teatrale della Befana sul Lambro: un intervento culturale, di ri-poeticizzazione. Forse mai come quest’anno, le parole che tante volte abbiamo proposto come i punti di forza delle nostre iniziative mostrano quanto siano necessarie. Il laboratorio si è sempre concepito come comitato per la difesa dell’immaginario dell’infanzia. Ora qui abbiamo assistito ad uno scempio compiuto su questo immaginario. Dal punto di vista simbolico, quanto accade associa il fiume alla morte. Il fiume non è più simbolo di vita, ma di morte. L’onda nera ne è una metafora perfetta: copre come un sudario, non lascia respirare né piante né animali. L’onda nera simboleggia anche la coltre che si pone davanti agli occhi - davanti al volto - e che non ci permette di vedere oltre, senza futuro e senza speranza. Invertire questa tendenza, cambiare è impossibile: lo sfruttamento e il degrado, la manipolazione dell’ambiente rappresentano l’unico modo di rapportarci ad esso. Ecco la ferita nell’immaginario: passa e resta questa rappresentazione. Sul fondo delle nostre menti si deposita questa idea, come il liquame si deposita sul fondo del fiume. Non lo sappiamo, ma restano lì sotto e da lì - senza che ce ne rendiamo conto - continuano a soffocare il respiro del fiume e la nostra capacità di immaginare
Ora cos’è un intervento poetico? Nel breve testo è rappresentato dalla “Befana che avanza” e che sta per compiere l’impossibile, a fronte del quale i cuori tremano, tacciono gli animali e gli orologi. Un intervento poetico è un gioco di polso, un’invenzione, un atto creativo. Questo coincide con la caduta di un velo. Voi sapete che il velo simboleggia la verità: l’arte disvela, apre un mondo diverso. Non un altro mondo, ma trasfigura questo mondo. Cioè lo fa vedere altrimenti: interviene esattamente sull’immaginario. Questo è evidente là dove si dice che il sudario è velo e sipario: cioè il gesto creativo trasforma la scena, trasforma l’immagine. Fa vedere, alla lettera, un altro mondo agli occhi di chi è disposto a vedere: gli spettri - né vivi né morti, cioè tutti noi quando siamo fuori posto, né qui né là, quando non ci accomodiamo, non ci accontentiamo, non ci rassegniamo -, gli animali e soprattutto i bambini dal cuore intrepido. I cui occhi non attendono altro che vedere l’invisibile, le cui mani non vogliono altro che fare l’impossibile.
E’ importante però chiarire fino in fondo come opera questo intervento poetico, simbolico. Sanare il danno ambientale significa restituire il corpo alla sua integrità: il corpo del fiume risanato torna ad essere quello di prima. Dalla vita, alla morte, alla vita. Sanare la ferita dell’immaginario è invece un altro tipo di operazione: non si tratta di tornare a ciò che era prima, ma al contrario di vedere in altro modo quello che resta tale e che abbiamo sotto gli occhi, questa macabra scena. Non nascondere la realtà, ma trasfigurarla. Non dalla vita, alla morte, alla vita; ma dalla vita alla morte per giungere alla morte viva. Cosa appare, aperto il sipario? Un verminaio che è danza, un carnevale macabro. Resta verminaio, ma la potenza poetica lo trasforma in altro; resta una scena macabra, ma diviene anche carnevale. Non di nuovo pesci vivi: ma scheletri di pesce - morti dunque - che danzano. E’ un gesto che sana le ferite nell’anima, le ferite nell’immaginario, le sana sempre più in profondità, affondando nell’immaginario che si è sedimentato nella memoria: non solo gli scheletri danzanti di oggi; ma anche le donne che negli anni passati si suicidavano nel fiume e che divengono, per la forza della parola, fanciulle accarezzate dall’acqua, là dove la morte viene trasfigurata in dolcezza; e ancora più indietro, il sudario diviene maschera d’oro funeraria di un passato remotissimo che sprofonda nella memoria più antica.
Quello che era un sarcofago - il contenitore del corpo morto, il morto fiume - diviene uno scrigno. Il fiume vomita i suoi tesori: perché anche quanto è vomitevole e rivoltante, grazie alla forza della poesia, può divenire prezioso. Ecco, a questa trasfigurazione assisteranno, la notte della Befana, i bambini dal cuore intrepido.
Mario Vergani
I Pesci hanno le mani
La notte calò all’improvviso, quella volta. Arrivò da nord come non aveva mai fatto e tutti i pesci si fermarono, guardando. E fu più veloce, silenziosa e veloce.
E coprì, e si incollò all’acqua, e soffocò.
I suoni del fiume diventarono più ovattati, lo scorrere dell’acqua cupo. Poi bolle nere vaganti che non si vedevano e catturavano le piccole creature dell’acqua. Il cielo fu subito nero, di un nero senza stelle e senza luna, senza luci e riflessi.
E coprì, e si incollò all’acqua, e soffocò.
- Dove sei? Non ci vedo più!
- Sono qui, Lila, vicino a te. Senti ti tocco la coda
- Cosa sarà mai questo nero, e questa puzza, Sofina?
- Non so. E’ arrivato all’improvviso e ci ha coperto, è come la notte, ma più buia.
I due pesci si muovevano velocemente, e si tenevano sul fondo come quando la paura schiaccia le persone e le fa camminare rasente ai muri, nelle strade.
E coprì, e si incollò all’acqua, e soffocò.
Puntarono allora a nord, controcorrente, a cercare il pulito, a rincorrere la speranza, con la forza che il pericolo incombente può regalare, veloci e con gli occhi chiusi.
E la corsa diventò il viaggio ed il viaggio cambiò tempo ed il tempo divenne piccolo e lo spazio ingigantì e rallentò…
- Sono stanca Sofina, aspettami!
- Forza corri, corri. Più in là vedo qualcosa. Sembra luce. Dai, attaccati alla coda!
Allora, quando Lila si attaccò alla coda, la forza raddoppiò e i due sfrecciarono nell’acqua come mai avevano fatto. Attraversarono il fiume nella sua storia, l’uomo nella sua esistenza. Testimoni e accusatori, giudici senza voce. Con un ultimo slancio balzarono in un guizzo dal pelo dell’acqua, mano nella mano, bambini e pesci, finalmente salvi e salvifici.
Oltre la macchia.
nera la macchia
livido il cielo rende
inverno piange
A.S.
LO SPECCHIO
Notturno d’acqua
rinfranca pensieri …
lento turba
così come appare
sangue a riposo
di vene in riva.
Lambro
muto tempo
d’infranti sogni
… soggiungi
riportandomi alla quiete
d’imminente primavera.
Iride Enza Funari
Il Vestito della Befana
Sto leggendo – 25 Febbraio 2010 (Adnkronos) – Il Lambro è uno dei fiumi più inquinati d’Italia … e continua a portare un contributo di veleni insopportabile per il Po … a rilevarlo è il Wwf Italia …
Sto seduta e ondeggio seguendo il tuo movimento, mentre il foglio che sto leggendo scivola via, barcollo dal parapetto del ponte mentre Agliate ci guarda … non posso sopportare quest’ultimo sopruso … quanti anni abbiamo passato insieme … quanti anni hai raccontato con il rumore della tua acqua la mia storia, caro Lambro? Tra poco gli amici affezionati al rito accorreranno per assistere alla nuova storia, per immergersi nel rito magico … noi due uniti per la festa dei sogni infanti … noi due il mio corpo e le tue sinuose anse s’incontreranno e così non resisto … mi lascio cadere ed ora che l’acqua gelida m’avvolge … sto bene!!!
Come posso fingere che non sia accaduto nulla … non badare al tuo cuore sospeso nel letto nero oltraggiato da chi non sa seminare speranza? Con questa domanda m’immergo e cerco, cerco di ritrovare sul fondale della tua limpida origine quelle parole che un giorno di te scrisse anche Petrarca:
“A piè del colle scorre il Lambro limpidissimo fiume …”
… ora che navigo nel tuo malaugurato destino, avvilita intravedo un fondale di muschio e melma. Nella putrida fanghiglia distinguo piccoli animali che si avvicinano e sussurrano nelle mie orecchie inviti per riportare a galla i loro sogni. Mi chiedono di trasformare quel che vedo in favola, di ridare forza agli uomini perché possano ancora guardare la realtà con gli occhi dei loro bambini. Così ho pensato e mi sono chiesta come potessi far di nuovo schiudere il petto alla genuinità delle cose e all’improvviso un’idea, prima di emergere, “Cucirmi un abito” creato dalla storia della tua linfa.
Un abito con il profumo della tua essenza, ricamato con germogli di quello che sei e quello che sei stato, caro Lambro.
Tra i lembi di stoffa azzurrina incastono sguardi, spruzzi d’acqua e sole in volti ingenui. Le maniche sono fatte di rincorse gioiose in riva e tuffi di giovani temerari, le asole del corpetto cucite con ranuncoli bianchi striati di giallo. Alcuni li sistemo anche nel cappello che raccoglie la memoria di tutti i pesci che un tempo in te sguazzavano: alborelle, barbi, tinche, anguille, carpe, triotti, cavedani e scardole…
Infine indosso una lunga gonna di sassi lucenti e ruote di mulino … con orlo pesante che racconta la trasformazione, quell’intrusione sempre più violenta che ti ha portato ad essere un luogo abbandonato, dimenticato per lunghi tratti del tuo cammino … un orlo che parla del sopravvento dell’uomo sulla natura, che trama e ordisce immagini che riportano la discordia della forza lavoro che insaziabile non si sa fermare a contemplare cosa veramente accade nel rompere quell’equilibrio, che ti rende sempre più, con il passaggio dei giorni, accumulo di scarti e fogna.
Un orlo che adombra il luccichio di tutti quei sassi luminosi che parlano di un’altra storia ormai passata, di donne che un tempo si ritrovavano nel tuo alveo a parlare e lavare il bucato e di uomini che saltavano sulle tue rive e su quei sassi si accovacciavano per pescare attardandosi insieme.
Ecco adesso emergo, la gente accalcata vedrà lo splendore di ciò che sei stato, l’orlo lo lascio galleggiare … insomma un po’ mi vergogno … ma la gente scorgerà il peso che ho sul fondo dei miei pensieri. Insieme grandi e piccini, spero lo troveremo quel coraggio di denunciare la nostra stoltezza, l’infamia di averti dimenticato … sapere che in seno hai frutti così belli, che ci daranno l’energia nuova per riscoprirti, per ripulire il tuo volto al destino futuro.
Con rammarico e stima per la tua forza di voler correre ancora, a te Lambro, dedico questo pensiero nella speranza che un giorno ritorni ad essere realtà il tuo passato …
la Tua per sempre Befana …
Iride Enza Funari
Ogni anno la "Befana" svolge e articola un tema sempre diverso. La scelta del "titolo" nasce non tanto da una casualità o una improvvisazione estranea a tutto ma da un sentire, un esplorare i momenti della vita sociale e culturale che più ci allontanano dalla sua partecipazione.
Per questo la "Befana" si avvale di tanti contributi verbali e scritti.
Contenuti verbali per avere la conferma o la critica del nostro "sentire" per quanto riguarda l'importanza di questo mito, la Befana, principalmente rivolto ai bambini ma dove gli adulti richiamano ed esplorano le loro emozioni che incidono sull'immaginario collettivo. Da questo "parlare" si concretizzano poi i pensieri in contributi scritti.
Su questi ed altri scritti si apre spesso il dibattito, il confronto con operatori ed educatori ma anche semplicemente con genitori e persone che hanno a cuore la salvaguardia della poeticità e della meraviglia del mondo infantile al quale la Befana e il suo mito di passaggio tende.
i primi disegni:
A partire dai pomeriggi di sabato 10 e domenica 11 novembre inizieranno nei fine settimana i laboratori al capannone di Agliate.
Vi aspettiamo, fiduciosi che la nostra vecchia e nuova avventura possa contagiare.
Per informazioni: 339.5984689
Dal 1987 l'arrivo della Befana sulle acque del fiume Lambro la vigilia dell'Epifania è diventata una teatralizzazione che si svolge nei pressi del ponte di Agliate (MB)
Promosso da Associazione Commissione Cultura Alternativa (CCA) di Carate Brianza, dal Comitato per il diritto al Mito-Festa dei bambini e dalla gente della valle del Lambro.
Con il patrocinio e il contributo di: Provincia di Monza e Brianza - Parco Valle del Lambro
Comuni di Carate, Albiate, Briosco, Giussano, Macherio, Sovico, Verano
Per informazioni Tel. 0362-906294 Cell. 3395984689 e-mail: rosesco@tin.it