BEFANA SUL LAMBRO 2010 5 gennaio 2010 ore 18.30 Agliate
Befana 2010: Pane e acqua... così semplice
“Così semplice!” … ma ce ne accorgiamo sempre dopo.Il bambino invece nuota nel suo elemento, respira a pieni polmoni la semplicità, vive nell’innocenza dell’ora. Non ha nostalgia di quando tutto era semplice. La sua gioia non è un ricordo, ma ogni volta una nuova primavera di felicità. Non si può essere felici e saperlo; infatti se lo sappiamo non lo siamo, perché è sceso un velo tra la perfezione del gesto felice e la coscienza che lo scruta. Uno scrupolo, e la coscienza non è più innocente. Semplice come il pane e l’acqua, che in fondo non vogliono molto, anzi solo l’essenziale. Cosa sia l’essenziale è quanto i bambini sanno e chiedono a colpo sicuro, nient’altro che questo. Ma cosa, cosa? Il calore del pane che sazia la fame e il fresco dell’acqua che placa la sete. Perché per questo cittadino del paradiso la vita è amore della vita e godimento degli elementi: mangiare dormire, scaldarsi al sole… nient’altro. Innocenza dell’ora, senza preoccupazioni per domani, né accumulo, né ricchezza. Tutto il resto è di più e, venendo da altrove, satura, intasa, ingolfa, soffoca. Per noi invece il pane è lavoro e fatica. Un’opera che tuttavia non è il mio trionfo, ma il trionfo della condivisione del sudore sulla durezza della terra, e il trionfo dell’attesa. Attesa della pioggia invocata che l’uomo e i campi sopportano, e pazienza finché il grano maturi. Per questo il pane è sempre un pane spezzato e ci richiama a quanto è più semplice: che non l’uomo, ma gli uomini abitano il mondo e, tra la terra e il cielo, si spartiscono le pene e le gioie. Il pane e l’acqua testimoniano della gioia della povertà. Gioia della povertà? Sono parole scandalose. E’ vero, la povertà è una prova dura, il bisogno consuma la carne e la privazione rende gli uomini cattivi. Sulla bocca di chi confonde la povertà con la sobrietà l’invito alla povertà è un insulto e un’intollerabile presa in giro. Perché la scelta di ridursi al minimo vitale e di aspirare all’autosufficienza è ancora un idolo e il trionfo di sé sul bisogno. Ma la povertà non è scelta, e per questo il suo richiamo è duro e piega l’orgoglio: non bastiamo a noi stessi. Pane e acqua vengono sempre dall’altro e all’altro sono dovuti. Per questo, senza che se ne possano prevedere i tempi, vengono sempre dal cielo, perché ogni altro è un’altezza. Allora la semplicità non è più ingenuità, ma un compito e un dovere. Non è dietro di noi, come un sogno d’infanzia, ma davanti a noi come un’ingiunzione imperiosa di giustizia che ci impedisce di fare calcoli e di rifiutare il pane. E insieme un’innocenza da riconquistare, una promessa di felicità che portiamo nel cuore.
Per la C.C.A., Mario Vergani
i contributi:
I primi scritti riguardanti la Befana 2010
ACQUA NOSTRA
E' caldo oggi. La tangenziale è un grasso nastro nero e umido, un bubbone di auto e camion prossimo all'esplosione e la percorro quasi esalando l'ultimo respiro a cavallo di un ronzante motore diesel sfiatato. La mia uscita è Trezzano sul Naviglio – Vecchia Vigevanese. Tre chilometri e sono nella campagna, quella bassa campagna milanese di campi, navigli e fossi, rogge ed erba e granturco.
Arrivo alla mia destinazione: dieci case, un'abbazia e una parrocchia grande così. La cosa più importante però, fossi, tanti fossi di irrigazione che scorrono nei campi dietro la chiesa ed interrotti ogni tanto da quelle piccole chiuse che permettono la fuoriuscita dell'acqua. La mossa è più breve del pensiero: mi siedo sul granito ghiandone di una chiusa proprio sotto un cespuglio di sambuco tolgo scarpe e calze e lascio che i piedi roventi cadano nell'acqua freschissima e corrente.
Una frustata percorre la schiena e per qualche minuto resto immobile ascoltando solamente il gorgoglio dell'acqua sulle caviglie
Le mani sulla pietra sentono un solletico strano e guardando scorgo una lenta lunga fila di formiche che sale dal mignolo e la attraversa tutta scendendo dalla base del pollice. Frinire di cicale per sottofondo. Sono le tre e mezza del pomeriggio. Tremula l'orizzonte delle campagne.
Strana sensazione e in tutto il corpo si diffonde benessere. Frinire e ancora frinire e ancora e ancora e ....ipnotico frinire...
Basta chiudere gli occhi e non sono più corpo o comunque non più solo greve corpo. Piedi, acqua, verde, rintocchi di campana, ore quattro, cielo tra le foglie...Tutto si confonde e si contamina e l'immaginazione cuce e inanella ciò che i sensi sentono.
Il pensiero più forte in questo momento è quello di essere in comunione col mondo. Davvero! Sto toccando l'acqua di tutto il mondo con i piedi! Un semplice gesto che vale più di tante parole. Così semplice e così complicato da capire. Si, perché le cose semplici sono così universali che fatichiamo a capirle. I miei piedi toccano ora quelli di un bambino nel Gange, di un pescatore del Nilo o quelli di un soldato morto e riverso nell'acqua e ancora quelli di un suicida caduto da un qualsiasi ponte, Sono nelle lacrime e nell'urina del mondo. E così passo attraverso le pale di cento mulini e nelle fogne della più putrida delle città, nella sorgente e nel ghiaccio, nei mari. Mi fiondo attraverso la storia e il tempo fino al centro della terra e rinasco nuvola e crisalide e ricado.
Ritraggo i piedi dal fosso come la mano da una bolla di sapone, freschi e puliti, quasi candidi ed ho capito. L'acqua è nostra, di tutti noi perché noi siamo l'acqua.
Aldo Sangalli
TANTI ANNI DI BEFANA SUL LAMBRO
Nel corso degli anni abbiamo potuto constatare come l’evento “Befana sul Lambro” sia diventato una importante risorsa culturale per il territorio, che attraverso una originale animazione-festa socio-ambientale costruita con l’aiuto dei volontari, delle associazioni, delle istituzioni, ha avuto la forza sufficiente per diventare un appuntamento sociale e un evento culturale capace di incidere nell’immaginario collettivo.
La manifestazione “Befana sul Lambro” ha superato il considerevole traguardo di vent’anni di vita, arrivando alla sua ventitreesima edizione: un percorso ricco di esperienze, saperi, conoscenze e partecipazione, un patrimonio culturale, progettuale, creativo e di ricerca che non vorremmo venisse disperso, ma che, anzi, vorremmo veder crescere.
I Comuni del territorio , la Provincia di Monza e della Brianza e la Regione Lombardia hanno mostrato negli anni un’attenzione per la prosecuzione dell’esperienza del Laboratorio e della teatralizzazione sul fiume, ed hanno affiancato enti, associazioni e privati cittadini nel sostegno economico ed organizzativo alla Befana sul fiume Lambro.
Anche molte associazioni , come ricordato, negli anni si sono aggiunte al composito fronte che propone un modo diverso di fare animazione socio-ambientale.
Tra le tante ricordiamo il patrocinio di Emergency, della Fondazione ABIO per il bambino in ospedale e dell’UNICEF.
Inoltre ci hanno dato e ci danno un’importante sostegno organizzativo la Protezione Civile dei comuni di Carate Brianza e Verano Brianza, la Croce Bianca Brianza, la Banda di Carate Brianza, il gruppo folk Muntanerada, alcuni imprenditori locali.
In aiuto al Laboratorio si è anche radicata una solida tradizione di volontariato, che ha portato alla Befana sul Lambro centinaia di persone diverse, anche provenienti da altre nazioni. Ai volontari del territorio si sono aggiunti, anno dopo anno, numerosi artisti e performer che hanno contribuito con le loro arti, la loro creatività e il loro specifico linguaggio a diffondere il messaggio della Befana sul fiume Lambro.
Nel corso di tutti questi anni gli operatori della C.C.A., nello spirito del Laboratorio, sono intervenuti con presentazioni creative nelle scuole elementari , nei centri di aggregazione giovanile e nei centri socio educativi . Qui abbiamo realizzato laboratori specifici per la costruzione e la decorazione di piccole strutture e oggetti scenici per la festa finale. Alcuni ospiti delle comunità terapeutiche del territorio, lavorando ai laboratori, hanno potuto integrare il loro percorso con una esperienza di volontariato, che è stata anche occasione di formazione e di reinserimento sociale. Una particolare attenzione è da sempre rivolta ai bambini, per i quali vengono attivati laboratori specifici nel fine settimana e “Vacanze con la Befana”, durante le quali il Laboratorio è aperto per loro.
a cura del Laboratorio
PANE E ACQUA… COSÌ SEMPLICE
L’adulto vive con una coscienza alterata e ciò non gli permette di riavvolgersi facilmente nei pensieri senza fissa dimora che un tempo gli permettevano di crogiolarsi. Ma quando è avvenuta la metamorfosi, in quale istante l’uomo dimentica di essere stato fanciullo? Mentre leggevo la presentazione della Befana di questo nuovo anno ed emergeva il quadro nitido d’una fanciullezza semplice e spensierata per un istante sono balzata indietro nel tempo, nel mio tempo passato ed ho sentito l’odore del pane che veniva fatto da mio padre in cucina, ho rivisto il forno che cuoceva, ho ripensato a quella che è stata la mia fanciullezza calata nella natura, nel ricambio delle stagioni, nelle tavole che non offrivano sempre tutto ad ogni costo … e poi sono tornata al presente, ho pensato a come è il vivere d’un bambino nella nostra comunità, in questo tempo e ho rimandato il pensiero ad un passaggio di un libro di Giovanni Sartori, a come la realtà oggi vissuta dalle nuove generazioni sia costantemente e in maniera profusamente alterata dalla presenza di due termini che dominano la realtà: globalizzazione e media. Nel libro Homo videns Sartori preannuncia un infante che mi ha fatto riflettere per la sua lucida descrizione, egli dice parlando della televisione che è: “abbastanza evidente che il mondo nel quale viviamo già poggia sulle gracili spalle del «video-bambino»: un nuovissimo esemplare di essere umano allevato dal tele-vedere – davanti a un televisore – ancor prima di saper leggere e scrivere”. Egli si preoccupa di analizzare il primato dell’immagine, e cioè di un prevalere del visibile sull’intelligibile che porta a un vedere senza capire. Certo se il mezzo televisivo fosse nelle mani di uomini che hanno ancora in mente ciò che è stato il loro passato e avessero nel cuore qualche seme della loro fanciullezza da piantare e far germogliare potremmo starcene tranquilli davanti a questo tipo di affermazioni, ma come ben sappiamo la classe dominante poggia su una base di mercato avido e insensibile alle ragioni dell’educazione e della formazione delle nuove generazioni e sinceramente guardandomi intorno quasi tutte le forme sociali atte a educare dalla famiglia alla scuola, dalla religione alla politica, vedo che annaspano in un disequilibrio che difficilmente riesce a fare breccia nei giovani. Allora torno indietro e mi chiedo quando finisce il disincanto? Quando i bambini vedendo un cartone animato iniziano a desiderare di averlo tra le loro mani perché ogni immagine diventa “grazie” alla magia del mercato fruibile nell’immediato, ogni personaggio, ogni oggetto rappresentato sullo schermo si anima e diventa oggetto acquistabile. Allora mi chiedo dove è la semplicità, chi veramente riesce ad educare il proprio figlio senza scadere nel compromesso della realtà che si impone forzatamente? La Befana di quest’anno parla di essenziale e noi viviamo nell’epoca del futile, del tutto subito, di oggetti che appena ottenuti perdono di significato. Proprio per questo trovo oltremodo coraggioso l’intervento della Befana, l’audacia di metterci di fronte la realtà grave del presente, farci toccare con mano la debolezza del nostro dire davanti a quello che è il nostro reale agire. La difficoltà d’imporci, di saper andare contro corrente, di dire un no in memoria di quella semplicità che sappiamo più sana e più giusta. Nell’era della globalizzazione dove lo sviluppo cognitivo galoppa, gli individui si sentono spesso storditi dalla complessità del mondo attuale, il virtuosismo del localismo credo sia il nodo cruciale d’un possibile cambiamento. Ridare dignità e spazio all’espressività e alla fantasia, senza dover soggiacere alle regole soffocanti del mercato, recuperare il bisogno di certezze, di regole, di coesione sociale, di benessere inteso come fattore di promozione delle persone che sono la risorsa e la ricchezza decisiva di un modo di fare comunità aperto e radicato nella storia e nei luoghi ma anche capace di confrontarsi col mondo, questo fa dell’evento della Befana sul Lambro un elemento di differenziazione e di contaminazione fantastica. Sapere e conoscenza assumono un ruolo decisivo al fine di permettere al singolo individuo e a tutta una comunità di orientarsi all’interno della complessità del mondo contemporaneo, di interpretare criticamente la realtà, di individuare soluzioni creative di fronte a situazioni problematiche, come appunto il nostro oggi.
Iride Enza Funari
RICOMINCIAMO DA QUI
Pane e acqua. I minimi termini della sussistenza. Uno nutre, l’altra disseta. Nutrirsi e dissetarsi, nient’altro. Se mi trovo obbligata a pane e acqua vuol dire che non sono libera. Pane e acqua è il regime del prigioniero, di chi è ridotto nelle condizioni di non disporre di sé e, considerato pericoloso per la società, ne viene separato. Oppure perché sono poverissima, al di sotto della soglia di sopravvivenza. E’ ancora possibile nel nostro mondo, perché? Ma posso anche obbligarmi da me, a pane e acqua. Perché esercito su di me una libertà vertiginosa, fino a poter controllare e patire la fame e la sete, fino ai termini minimi della sussistenza. Perché credo in qualcosa di infinitamente grande. Perché mi sono messa su un cammino di espiazione e di ascesi. Perché protesto per torti e situazioni insopportabili, e denuncio che pericoloso è diventato il modo di vivere e fare della società che abbiamo costruito. Pane acqua e libertà. Semplici. Necessari. Pane e acqua. I minimi termini della relazione al minimo, in negativo e in positivo. Quando degrada fino al punto che qualcuno può togliere ad un altro tutto, tranne pane e acqua. Quando germoglia l’accoglienza, nel primo antichissimo umano gesto d’offerta del pane e dell’acqua. Pane e acqua, l’insopprimibile segno di qualcosa che rimane umano, anche quando tutto viene negato; di qualcosa che ricomincia a essere umano e si apre all’incontro. Pane e acqua. Il segno della vita nuda, della vita ridotta a nudità. Nelle mani di un altro, che la nega e avvilisce fino a metterla a pane e acqua; che la riconosce e rispetta offrendo pane e acqua. Pane e acqua. Se non li rifiuto, mi fido di chi me li dà. O sono totalmente nelle sue mani. Pane e acqua, messa a nudo del limite dell’esistenza e del bisogno per la sussistenza. Riconoscimento continuo di come non bastiamo a noi stessi. Di come dipendiamo dalla terra e dal nostro fare. Intreccio di gratuità e di scelte. Pane e acqua. Ricominciamo da qui.
Giusi Quarenghi
UN DONO
Camminiamo incerti, temendo quello che verrà: malattie, separazioni, morte. Attraversiamo i giorni con la consapevolezza che oggi ci siamo, ma domani, anzi, in questo stesso istante, potremmo cessare di esistere. Sin da piccoli, costruiamo una corazza intorno a noi per difenderci dal dolore. Diventiamo esseri complicati e contorti, arroccati dentro mura altissime. Ma la nostra identità più profonda è un’altra. Nel profondo di noi stessi noi siamo un sole, una scintilla, un raggio di luce. La nostra anima, la nostra identità vera, è semplice, nuda, vera, essenziale, autentica. Se prestiamo ascolto alla musica che scorga dalla nostra interiorità, ci accorgiamo che la stessa musica vibra e risuona nel cuore di tutti gli esseri viventi : alberi, animali, uomini. E d’un tratto scopriamo che non siamo soli, ma siamo parte di un essere più vasto che si manifesta in noi. E allora, per qualche istante, diventiamo semplici, umili, piccoli ; abbandoniamo la nostra corazza, ci apriamo a noi stessi e all’altro. Ma “ l’altro “ non è altro, è parte di noi. Nel profondo di noi stessi noi siamo alberi, fiumi, cervi, uomini e questo senso di appartenenza, di comune identità, ci libera dalle sovrastrutture del dolore, ci restituisce a noi stessi, ci conforta e ci sostiene. Pane e acqua sono elementi semplici e sacri. Gesù spezza il pane e lo dona ai suoi discepoli, dona una parte di sé, dona tutto se stesso. E diventa uno con i suoi fratelli e con tutti noi. L’acqua è la madre di tutte le cose. Senza acqua non ci può essere vita. La semplicità è figlia della speranza e la speranza è l’unico dono che possiamo donare veramente ai nostri compagni di gioco sulla madre terra.
Marco Raimondi
PANE E ACQUA… MITI E STORIE
Quest’anno la Befana, la vecchia pazza che abita sulle rive del fiume Lambro, è convinta – povera pazza! – che c’è un mito che si può mangiare: il mito del pane. Si sa che i miti e le storie si raccontano, ma come si possano mangiare è difficile da capire. Eppure la Befana, la vecchia saggia, conosce riti e formule magiche per cambiare le cose. E quest’anno ha deciso di trasformare la sostanza del pane in un mito, in una storia. A dire il vero la Befana, non trasforma le cose, ma le riporta alla loro natura iniziale. Così fa tornare il pane farina, la farina grano, il grano spiga, la spiga germoglio, il germoglio grano e poi di nuovo il grano spiga, la spiga germoglio, il germoglio grano… così fino al tempo dell’inizio. In quel tempo il Re dei Morti rapì la Figlia del Padre degli Dei e della Madre Terra, la condusse nel suo regno sotterraneo e lì la sposò. La Madre, pazza dal dolore, rese la terra sterile e convinse il Padre a riportare sua Figlia nel mondo dei vivi. Ma il Re dei Morti permise ciò solo dopo che la sua Sposa gli ebbe promesso di rimanere sei mesi all'anno insieme a lui, nel regno dei morti. Come il seme rimane sottoterra per sei mesi, muore, marcisce e rinasce per diventare germoglio, spiga, grano, farina, pane. Nella notte della Befana, la vecchia strega evocherà tutte le storie ed i miti che si impastano con l’acqua e la farina. E il pane che tirerà fuori dal suo forno non sarà il nostro pane quotidiano, ma il pane delle nostre feste: di quelle grandi occasioni in cui gli uomini si trovano insieme per nutrirsi di storie che parlano di vita, morte e vita dopo la morte.
Alberto Bordogna
PANE-VITA
Con il naso in su a guardare le nuvole che vanno e vengono con la forma di cane o di drago, con le mani nel fango a formar pagnotte e i piedi nudi nelle pozze in mezzo ai boschi in collina, su in alto dove i fiumi sono ancora ruscelli, in quella Brianza che non ha ancora l'odore di città c'è un bambino con il calzoncini corti e dieci anni sulle spalle strette. Posa le pagnotte sui sassi larghi e piatti ad asciugare e ritornerà l'indomani e prendere quei panini di creta. Lo guardo da lontano, da trentasette anni lontano e sorrido. Quel bambino però è del tutto simile a quelli che solo la settimana scorsa ho visto sulla spiaggia con secchiello e paletta ad impastare davanti al mare sotto le nuvole che vanno e vengono... Se si mette un bambino sulla sabbia non c'è storia: si procura dell'acqua per “impastare”. E' un gesto primordiale quello che mescola acqua e terra per farne fango, biblico. Ancora di più: tutto il nostro pianeta è semplicemente acqua e terra. La semplicità non ha tempo anzi, il tempo lo regola ed allo stesso modo dà la misura alla nostra presunzione smontandone con pochi e quanto mai sempre azzeccati colpi, la boria. Il pane assomiglia molto al fango. Si mescolano due cose semplici. E il bambino è fornaio almeno nella sua immaginazione. E il fornaio è bambino almeno per i suoi atti. Acqua, farina e lievito, poi nel forno ad cuocere ed il miracolo è fatto... No il miracolo non c'è proprio. Delle mani
aperte al sole
sporche del fango
delle guerre
della fame
nessuna ha il colore
del diritto
tutte
quello dell'elemosina
Già, perché il diritto non ha un colore. Ha un profumo: quello del pane. Quando tutte quelle mani avranno del pane, quando quel pane verrà spezzato davvero, allora e solo allora il miracolo del pane-vita sarà completo. Condivisione. Questo è il termine magico che dovrebbe accordare tutti gli uomini, i governi, le religioni come un buon lievito, seme e fermento negli ingredienti del pane . Condivisione soprattutto di ciò che appartiene a tutti gli esseri viventi in quanto facente parte delle risorse offerte dalla Terra, che non appartiene, per definizione al singolo.
Mentre scrivo e pigio tasti sulla tastiera di questo portatile, un signore molto arrabbiato bussa sulla portiera del mio furgone reclamando inviperito il “suo”parcheggio, i suoi dieci metri di asfalto che io sto occupando abusivamente. “Io ho pagato!”. Va bene.
Ecco il trucco! Se pago.... Viva la libertà (minuscolo) e il suo prezzo!
Un sorriso a tutti gli “Uomini”.
Aldo Sangalli
LETTERA D'AMORE
Caro,
non ho abitudine a scriverti ma non ho mai smesso di pensare a te. Ti amo da quando esisti anche se per la verità poche volte ti sei ricordato di me. Ti sembrerà strano ma è così: si può davvero amare per un'eternità senza essere corrisposti. Forse perché il mio esserci è così ovvio che mi dai per scontata. Vivi vicino a me, spesso mi usi come ti pare e piace e poi.... e poi niente!
A volte mi ritrovo a seguirti senza saperlo, senza rendermi conto. Ti guardo ma non posso parlarti, ti accarezzo e non te ne accorgi. Spero sempre che tu ti renda conto in tempo della mia attenzione per te. Per la verità quando sono davvero arrabbiata capisci che ci sono anch'io ma quando sbollo tutto diventa come prima.
Ti ricordi quante cose belle abbiamo fatto insieme? ...già, non ricordi e questo è il vero guaio. Il bello, invece, è che lavoriamo ancora insieme e ti regalo tutta me stessa senza pretendere, senza offendere mentre tu mi lasci sempre incompresa, sempre un po' peggiore, un po' più sporca.
Mi meraviglia, però, come tu chieda di me o addirittura preghi quando per troppo tempo non hai mie notizie. Sembrerebbe che la tua vita dipenda da me solo quando non mi senti da molto tempo, poi se ritorno, ancora una volta, finisce subito il breve amore e rimango lì, allo stesso modo di chi ha venduto il proprio corpo, con i soldi sul materasso.
Sei indubbiamente incomprensibile, uomo. Sei nato con me, sei fatto di me, ti ho allevato e alleviato il dolore, lavato e dissetato e lo faccio ancora ma sinceramente non capisco come tu non comprenda che amarmi è il solo mezzo che hai per sopravvivere. Dovresti amarmi di un amore istintivo e viscerale, vitale, avere cura di me come del tuo stesso essere invece nemmeno ti preoccupi se sto così male. Solo il bisogno di me ti rende gentile.
Questi sono gli ultimi consigli che posso darti. Ancora un po' e non mi troverai più, ancora un passo e non sarà più possibile rivederci.
Tua per sempre. Acqua
laudato si' mi Signore per sor'acqua
la quale è molto utile et humile et pretiosa et casta
(Giovanni di Pietro Bernardone-Cantico delle Creature)
NON C'E' PIÙ, SEMPLICEMENTE
Aldo Sangalli
L’ANTONIO
Sono di nuovo nel capannone con un pezzo di legno sul ceppo. Sono in buona compagnia, c’è Antonio con me. Forse è meglio dire che lui è in mia compagnia perché sono io che imparo e che ho molto imparare. Credo che la funzione di garzone, di ragazzo di bottega sia l’unica possibilità che ha una persona per conoscere e per vivere. Tutti, in qualche modo, abbiamo da imparare da chi ci sta vicino, solo che ci vuole umiltà e non è una cosa da poco. Viviamo per così dire “in salamoia”, in balia del nostro piacere momentaneo che esalta le capacità individuali senza rapportarle a quelle degli altri. L’apprendista impara a conoscere, ha l’estremo privilegio di capire dall’errore che gli altri hanno già fatto e a loro spese recuperato e sicuramente anche lui ha da insegnare altro a che gli sta vicino.
Torno però ad Antonio. Il suo modo di fare dà sicurezza, ti aiuta a seguire una linea certa, un atteggiamento positivo e retto. Si, perché esiste un metodo per fare le cose e se tu lo segui, non ci sono santi, il margine di errore si restringe.
Due cose ho assorbito oggi.
La prima è che la natura, anche nei suoi più piccoli particolari insegna che nulla è scontato, facile. Anche nel pezzo di legno che Antonio ed io abbiamo davanti c’è un segreto da individuare. C’è un tipo di legno, tipi di nodi, consistenze diverse e diversi modi per poterlo rompere. E lui invece non si vuole spaccare! Ci fa capire che anche nell’elemento infinitesimo la natura sa essere più forte di noi solamente con la SEMPLICITA’. Il maestro e il manovale ci hanno perso un bel po’ di tempo!
La seconda cosa che porto via da Agliate oggi sembra ovvia ma non lo è se applicata al vivere quotidiano. Serve, per quel maledetto pezzo di legno, una motosega perché con la sola accetta non ce la facciamo. Accade che, in ordine, la sega elettrica non taglia, che le lame di ricambio hanno misure diverse, che la motosega a motore non ha olio per la catena, non ha benzina, e per la miscela con olio non c’è un misurino per il dosaggio. Una bella concatenazione di particolari, no? E il pezzo di legno è là, ancora sul ceppo. Antonio dice che queste cose lo mandano in bestia. In effetti, penso, è come se un cuoco iniziasse a preparare una cena senza gli ingredienti adatti oppure ancora da comprare, come se uno stilasse un giudizio senza avere tutti gli elementi necessari. Quante volte mi capita, però! Alla fine due uomini hanno speso un’ora per un pezzo di legno sul ceppo. Ho detto speso, non perso.
Vero è che potevamo buttarlo sul mucchio così com’era.
Eh, ma l’Antonio….
Aldo Sangalli
POESIA
Passando
il ponte sembra
traghettare i pensieri
di là dalle nuvole
sopra il torbido
del fiume ingrossato
sembra di
abbandonare i piedi pesanti
per sollevarsi a toccare
le nuvole e nuvole
e acqua e mari e nuovi fiumi
e nuvole bianche grigie
e volo slegato
aria aperta algida
e braccia come ali
in alto e tuffi nel nero dei temporali
e poi piano giù
di poco a guardare in basso
- falco sopra le nevi
bianca la mia voce -
profuma il vento forte
di violini e viole
note bianche e nere le montagne
suoni suonati
nei torrenti ed io con loro
a scorrere scrosciare saltare
poi più giù
sui laghi e sui tetti
sopra le sorgenti e i prati
sfiorando con le ali
il pelo delle acque
fino ad immergere
l’anima e la carne e diventare
creatura
nascitura e primitiva
feto e uomo
acqua
ritrovarsi poi
semplicemente
sul ponte
sopra il fiume ingrossato
e un toscano fra le dita.
Aldo Sangalli
PANE E PANE
C'è pane e pane e la differenza non è banale. Il fornaio non è il panificatore. Penso che tutte le cose prodotte dall'uomo abbiano un cuore, quello di chi le ha create, che racchiudano dentro come uno scrigno la felicità, le bestemmie, i dolori e le speranze. Un atto ha il colore del suo attore.
Questo pensiero mi coglie quasi impreparato mentre guardo il mio bel numero 11 del banco del pane. In file tutti col “proprio” bigliettino ad aspettare che un automa-commesso infili nel sacchetto delle forme simili al pane.. 9!...10!...11!... Ma vaff....!!! Tutto il rispetto per chi lavora, questo è ben chiaro. Tutto qua dentro, però, non ha il sapore di uomo, ma di macchina. Come dire? Di fianco alla biancheria intima ci sono i latticini, i jeans son adiacenti ai fagioli in scatola. Odori, sapori, colori non hanno una loro collocazione. Com'è possibile? Dov'è l'anima? Cosa regna qua dentro? Il denaro per il denaro. Ecco, questo regna. Mi giro e me ne vado, butto il mio“biglietto 56” nel primo cestino. Ho la nausea.
Andrò dal Mario, un fornaio che conosco.
“Ueh, ciao! Come va?”
“Non c'è male, grazie. Mi dai un po' di pane?”
“Quale vuoi? No, questo no, questo cavolo di vento me lo secca troppo , ti do quest'altro”.
Mi sento a casa.
La differenza sta proprio qui. Mario mi vende un pane che ha un valore aggiunto insuperabile. Ciò che ha nel suo negozio non arriva da duemila chilometri lontano congelato e precotto ma lui ha mescolato acqua, farina,la sua capacità e parte del suo sentimento, dei suoi sogni. Vale di più. Se in bottega Mario vende 100 chili di pane, sicuramente non ne produrrà 200! Ne butterà il meno possibile. É anche ecologico. L'abbondanza fasulla che ci viene propinata la pagheremo a caro prezzo. Mario fa un pane semplice.
Consumare di meno e in modo differente è l'imperativo per sopravvivere, ma così facendo il denaro non la farebbe più da padrone, le grandi banche ne soffrirebbero, le grandi industrie che pagano stipendi da 200 euro nell'est per vendere poi il prodotto allo stesso prezzo in occidente(e cassaintegrare invece qui) dovrebbero ridimensionarsi o al limite ridistribuire il maggior utile, le finanziarie(leggi banche), proprietarie di assicurazioni e gruppi alimentari non avrebbero più l'incasso di denaro fresco tutti i giorni che i grandi ipermercati garantiscono e come faranno mai, povere, a far rendere i miei 2 euro di pane per una percentuale iperbolica con gli investimenti e i prestiti rateizzati ai poveri cristi che inconsapevolmente ingrasseranno i propri aguzzini facendo la spesa? ...ma questo è un altro discorso. C'è una sorta di dignità nel pane, qualcosa che lo rende, oltre che alimento, simbolo. Di quale dignità possiamo parlare però, se l'equazione pane = lavoro deraglia? Se il pane diventa oggetto di questua, questa società diventa solamente e biecamente sfruttatrice di risorse, ha fallito. Non ci sono dubbi per me: c'è pane e pane.
W Mario!!!
Aldo Sangalli
L’ARTICOLO IL
Col naso in su, ancora una volta guardo i sacchi appesi come i burattini di Mangiafuoco. Il capannone è lo stesso dell’anno scorso, di due anni fa, di tre, di quattro, ma diverso, ogni volta diverso. E’ freddo e anche umido e c’è un odore indefinibile di muffa, fumo, fiume e… toscano, il mio. Sono in una sorta di archivio storico, un deposito di conoscenza e lavoro e fantasie dove la più bella delle creazioni, il più delicato degli acquarelli, stanno a fianco allo scatolone dei guanti di cuoio o dei nastri adesivi senza offendersi, senza salire sul gradino alto, mantenendo tutti la loro identità peculiare. Mi piace tanto. E’ questo il magazzino del creato, del fatto e dell’accantonato, una cantina di esperienze. Di là, di là dalla porta dove ci sono le stufe a legna c’è invece il creare, l’inventare, il nuovo. Nel laboratorio c’è il presente indicativo delle esistenze di ognuno che magicamente si fonde nella prima persona plurale. Ci sono le vite nuove che saltellano tra pennelli e merende con quei camici lunghi che sembrano farli allievi di un pittore, -non si rendono conto, invece, che i veri pittori sono loro, la loro età e il loro tempo di libertà qui dentro – ci sono gli uomini e le donne del mondo, con i loro limiti e i loro sogni che imparano dai bambini e colorano i muri grigi con loro. Ma non è tutto qui. Qui, nel magazzino dove sono, dove c’è la legna da spaccare vicino a una balena lunga dieci metri, mi chiedo cosa mi spinge ad essere qui. Sono con Alessandro e ce lo chiediamo tutti e due. Mi fa sorridere stare di fianco a lui per l’imbarazzante differenza delle nostre stature, ma ci facciamo la stessa domanda: perché, cosa ci attira qui. Ale, di primo acchito, attribuisce ad un senso di comunità che al capannone rinverdisce e cresce e integra l’esile percezione di collettività che un poco langue nelle nostre vite. Credo che sia uno dei validi motivi per i quali prendiamo freddo ogni sabato. Non ho la stessa lucidità, io. Mi fermo a prendere atto che ho voglia di stare qui, come facente parte di uno spirito, come presenza utile ma non indispensabile. C’è qualcosa, qui dentro che tocca le mie corde e le fa vibrare intensamente, qualcosa di primitivo. Forse non lo voglio nemmeno sapere cos’è, mi basta sentirlo. Guardando Alessandro, che sembriamo l’articolo IL, penso che qui si annullano le differenze ed è la parte buona che, se accettata, diventa magica. Ognuno è uguale con le proprie dissonanze, ognuno ha un vissuto diverso che qui dentro entra solo per dare un valore aggiunto al progetto e allora, quando questo accade, Alessandro ed io siamo alti uguale.
Aldo Sangalli
LA LOCOMOTIVA
Lo conosciamo tutti, il Mason. Tutti sappiamo su quali binari corre, tranne lui. Non voglio dire, evidentemente , che non sappia quello che fa. Ci mancherebbe. Lui lo sa benissimo cosa ha in mente e corre a cavallo del suo pensiero apparentemente senza curarsi di ciò che gli sta intorno. A volte questo suo binario incontra degli scambi o addirittura delle stazioni ed in quel momento riusciamo anche noi semplici umani a comunicare con lui. Quando incontra la stazione è una festa perché riesci anche ad esprimere un pensiero compiuto senza che lui si allontani. In questi rari momenti, però, la sua attenzione è totale, aperta. Passata la stazione, il treno corre ancora a palla sui binari suoi ma con il tuo pensiero nella locomotiva, nella caldaia. Alla prossima fermata le idee-carbone saranno progetti, il vapore sarà diventato forza e avrà spinto il treno più velocemente. Mi piace pensare al Mason come un treno, anzi, direi alla locomotiva di un treno. Spesso questa sensazione mi prende, al laboratorio. A volte immagino di sollevarmi a mezz’aria e di guardare nel capannone dall’alto, in pianta. L’immagine è singolare: persone ferme a lavorare in un punto definito del pavimento e una cellula irrequieta che instancabilmente corre da un punto all’altro, da una persona all’altra, come a dare una dritta, un consiglio o un rimprovero, ma attenta al lavoro di ognuno. Anche da qui, dall’alto, quella cellula potrebbe sembrare un treno che corre da una stazione all’altra. E noi? Noi umani che siamo? Qual è la nostra funzione? A volte siamo vagoni, quando lavoriamo per allestire le creazioni magari con altri pensieri, anche più importanti, nella mente. Comunque indispensabili per un treno, indiscutibile, ma con un coinvolgimento limitato dettato dalle nostre priorità. A cosa servirebbe un treno senza vagoni per passeggeri o merci? Altre volte, e sono le più belle, siamo stazioni. Siamo punto focale e indispensabile per una locomotiva, per far riposare i motori, per caricare il carbone. Raramente il nostro coinvolgimento è totale, ma quando accade è magia bambina, è luna nuova. Stazioni ce ne sono poche, una ogni tanto, ma al treno non possono mancare. Apprezzo il Mason, nella sua totalità. Apprezzo il suo essere in certi momenti così delicato da sembrare quasi fragile (eh, ma in fondo un po’fragile lo è). Mi piace la sua totale dedizione all’idea, al mito in sé, senza fronzoli od orpelli. Amo poi follemente la sua ricerca dell’assurdo che colora d’arcobaleno anche le cose più normali. Capita di trovare un’idea anche bella per la costruzione di una struttura da mettere nel fiume, ma la pennellata d’assurdo quell’aggiunta fantastica che riesce a dare il Mason ha sempre qualcosa di improvviso e vitale, sostanziale e conclusivo. La casualità e l’assurdo: cosi difficile per noi facenti parte della normalità, o della normalizzazione. Dove tutto è conseguente, stabilito, logico e organizzato, il colpo di frusta del caso e dell’assurdo è benefico, medicamentoso. Ecco, un altro aspetto del laboratorio è questo: una sorta di educazione all’imprevisto, all’assurdità intesa come valore aggiunto alla normalità, come elemento di disarmonia costruttiva. Non ho dubbi, il Mason, con tutti i suoi difetti, le arrabbiature, il suo carattere apparentemente scontroso è un altro degli importanti motivi per cui vale la pena di lavorare con la Befana.
Aldo Sangalli
Ogni anno la "Befana" svolge e articola un tema sempre diverso. La scelta del "titolo" nasce non tanto da una casualità o una improvvisazione estranea a tutto ma da un sentire, un esplorare i momenti della vita sociale e culturale che più ci allontanano dalla sua partecipazione.
Per questo la "Befana" si avvale di tanti contributi verbali e scritti.
Contenuti verbali per avere la conferma o la critica del nostro "sentire" per quanto riguarda l'importanza di questo mito, la Befana, principalmente rivolto ai bambini ma dove gli adulti richiamano ed esplorano le loro emozioni che incidono sull'immaginario collettivo. Da questo "parlare" si concretizzano poi i pensieri in contributi scritti.
Su questi ed altri scritti si apre spesso il dibattito, il confronto con operatori ed educatori ma anche semplicemente con genitori e persone che hanno a cuore la salvaguardia della poeticità e della meraviglia del mondo infantile al quale la Befana e il suo mito di passaggio tende.
IL LABORATORIO E' APERTO PER TUTTI I BAMBINI AD AGLIATE
DALLE 15 ALLE 18
OGNI SABATO E DOMENICA
Per informazioni:
tel. Enrico Mason 0362.906294
Dal 1987 l'arrivo della Befana sulle acque del fiume Lambro la vigilia dell'Epifania è diventata una teatralizzazione che si svolge nei pressi del ponte di Agliate (MB)
Promosso da Associazione Commissione Cultura Alternativa (CCA) di Carate Brianza, dal Comitato per il diritto al Mito-Festa dei bambini e dalla gente della valle del Lambro.
Con il patrocinio e il contributo di: Provincia di Monza e Brianza - Parco Valle del Lambro
Comuni di Carate, Albiate, Briosco, Giussano, Macherio, Sovico, Verano
Per informazioni Tel. 0362-906294 Cell. 3395984689 e-mail: rosesco@tin.it