BEFANA SUL LAMBRO 2009 5 gennaio 2009 ore 18.30 Agliate
Befana 2009: BEFANA, SENZA PAURA!
Ci sono paure e paure. E la Befana, signora della paura, lo sa. Perchè il suo è il regno della notte, dei fuochi e delle ombre, il luogo in cui l'animale e l'umano si confondono, il tempo in cui la natura e il fiume si rianimano e, da servi dell'uomo, tornano padroni. Sono improvvisi lampi di terrore, inquietanti luci tremule, giganteschi mostri argentati che ricordano a chi da sempre già lo sa, prima di dimenticarlo crescendo, che quanto abbiamo da condividere è esattamente questo tremore, sono solo le nostre ferite e che quanto ci lega gli uni agli altri sono sempre e solo le nostre debolezze. Ma ci sono paure e paure. C'è una paura che è la sana reazione di fronte al pericolo, una spia, un segnale fisico che si manifesta nella velocità del battito cardiaco, nel brivido. Questa in fondo è una buona consigliera:" Togli una mano - dice - allontanati, scappa, preserva la tua incolumità". C'è un'altra paura, di fronte a un pericolo molto più vago e indistinto. Eppure l'angoscia può essere un'amica: cambia le prospettive su quanto ci circonda, richiama un atteggiamento più vigile. Non è tutto, perchè c'è una terza paura, diversa e pervasiva, una paura che incombe, di fronte a un pericolo giudicato sempre imminente. Una paura di fronte ad un pericolo determinato eppure non presente ma costantemente preannunciato è inquietante e ansiogena.E' la paura di oggi, che respiriamo e che ci intossica giorno per giorno come un veleno.
Allora, a noi impauriti la Befana quest'anno dice: Senza paura! Non aver paura della paura , perchè c'è una paura che non isola ma lega, e legando trasforma e genera. E se voi che governate con la paura volete impadronirvi della paura di cui io sono signora per farne uno spauracchio, per quest'anno io mene spoglio e così vi denuncio. Per quest'anno mi libero della paura, rinuncio a far paura. E il mito non si compirà?
Per la C.C.A., Mario Vergani
i contributi:
I primi scritti riguardanti la Befana 2009
LA BEFANA PARLA E DICE
“Dissiperò il velo del tempo affinché tutti possano vedermi nell’unico istante che conta: il presente. Farò cadere in velo dello spazio, perché tutti possano raggiungermi là dove sono e dove sarò. Non incuterò timore, non turberò i sogni dei bambini e degli uomini. Rinuncerò ad essere madre della notte e dell’oscurità, portatrice di paura. Rinuncerò così a metà del mio essere, e apparirò solo come buona e rassicurante. Voi esseri umani vivete nella più estrema contraddizione, siete estrema contraddizione. Volete proteggere i vostri figli dalle minacce e dagli ostacoli dell’esistenza, forgiando per loro un mondo fatto a vostra immagine e somiglianza, un mondo sicuro, certo e stabile, ma poi uccidete questo stesso mondo in cui vivete, credendolo vostro. Voi pensate di essere padroni del mondo, conquistatori e unici signori della natura, e così la soggiogate e la saccheggiate, uccidendo foreste e animali, ma così facendo uccidete anche voi stessi. La violenza che esercitate sulle altre creature si ritorce contro di voi, perché tutti noi, voi ed io, siamo parte di uno stesso disegno, e di questo disegno fanno parte con la stessa dignità ed importanza tutte le creature animate ed inanimate: alberi, animali, pietre, fiumi, mari.
LA BEFANA: MADRE TERRA, GRANDE MADRE
Brani tratti da: Marcella Danon “Ecopsicologia. Crescita personale e coscienza ambientale” Urra-Apogeo 2006
Non è la stessa cosa rivolgersi alla Terra come substrato geologico di natura calcarea o granitica, per esempio, o rivolgersi a lei come Madre. Quello che si muove a livello di immaginario, di emozioni, di predisposizione interiore è completamente differente. Non sarebbe mai stato possibile uno sfruttamento così intenso e insensibile delle risorse naturali se la nostra cultura fosse stata ancora intrisa del rispetto archetipicamente dovuto alla Grande Madre (pp. 113-114)
Quella che oggi chiamiamo coscienza ambientale, una volta era parte integrante della coscienza dell’uomo, senza che nessuno ce lo dovesse ricordare, sapevamo di essere parte del mondo e del cosmo e il nostro rapporto con la Terra era intriso di gratitudine e di rispetto, da una parte, e di timore dall’altra. La Terra era Madre buona, fonte di nutrimento, di piacere, di vita ed era Madre cattiva, spaventosa nella sua ira e nella furia dei suoi elementi; era un essere dotato di una vita propria, una divinità, e come tale è stata per millenni celebrata dal rito e dal mito (p. 239)
C’è bisogno di una nuova idea…chi è l’essere umano e qual è la sua collocazione nel mondo? Chi siamo noi, ognuno di noi, qual è lo scopo di questa esperienza che chiamiamo vita e qual è il rapporto che ci lega ai nostri compagni di viaggio umani? È su questo piano che possiamo e dobbiamo intervenire se vogliamo trovare soluzioni nuove in grado di riorganizzare il nostro essere e agire sulla Terra con basi ecosostenibili. Dobbiamo cambiare l’idea che abbiamo, profondamente radicata, dell’uomo come padrone del mondo e unico essere degno di dignità e considerazione, e aprirci a una visione più vasta di collettività vivente a cui l’essere umano partecipa come membro (pp. XI, XII)
Amiamo la Terra perché siamo la Terra. Amiamo la Befana perché siamo la Befana.
“Amiamo la Terra perché siamo la Terra”, è questo il messaggio, è questo l’invito (ibid. p. 242)
La Befana, quale manifestazione della Madre Terra, della Grande Madre, di fa portatrice e garante di questo messaggio universale: “Amiamo la Terra perché siamo la Terra”. Non perdiamo altro tempo, rendiamoci conto che la Natura e la Terra non è distinta da noi, non è altro da noi. Noi siamo la Natura, noi siamo la Terra. Non c’è differenza tra un uomo e un albero, tra un uomo e una pietra, tra un uomo e un uccello, tra un uomo e un fiume. Non c’è differenza tra noi e la Befana. Noi siamo la Befana. Abbiamo paura della Befana e delle creature tenebrose e notturne perché abbiamo paura di noi stessi. Allo stesso tempo amiamo e invochiamo la Befana perché abbiamo in noi la creatura che sorgerà dalla nostra trasformazione. Se la Befana rinuncia ad essere spaventosa, misteriosa ed inquietante, se rinuncia cioè alla paura e scende dalla scopa, in questo modo, perdendo l’attributo magico, potente e numinoso, diventa almeno per una notte, nell’istante della sua epifania, nella sua rivelazione-apparizione, un essere semplice e terrestre, un essere umano. Non è più celeste, perché non vola nel cielo e scende dalla scopa e non è più ctonio (notturno, degli abissi, sotterraneo). Anche noi, come la Befana, possiamo rinunciare ad impaurire noi stessi e gli altri, possiamo lasciarci dietro la paura e scoprirci esseri interi, non più scissi, riappacificati dopo la lotta contro la nostra oscurità. Ma ricordiamo che l’oscurità non può svanire per sempre, può solo dissolversi nell’arco preciso e definito del giorno, ma poi ritorna. L’oscurità non può, quindi, essere rimossa, cancellata, negata, perché è dalla notte e dall’oscurità che nasce il giorno ed è dalla notte del nostro inconscio che può emergere tutto quello che farà di noi esseri nuovi, più vicini a quello che possiamo diventare.
Solo dalla paura nasce il seme del coraggio
E ancora la Befana dice: “Non abbiate paura della paura. La paura è un dono del cielo, perché solo dalla paura nasce il seme del coraggio. Non ci può essere coraggio senza paura. Attraversate con me le foreste del girono e della notte e non stupitevi più se a volte sono benevola e a volte sono terribile. Solo di una cosa ricordatevi, ricordatevi sempre. Voi ed io siamo uniti, uniti per sempre e siamo uniti e connessi a tutto ciò che ci circonda, a tutte le creature di questo mondo, siamo esse pietre, uccelli, fiumi.
Di una sola cosa ricordatevi: noi siamo la Terra. E non avrete più paura.
Marco Raimondi
BEFANA SENZA PAURA!
Appena Babbo Mason mi ha detto l’argomento da trattare per BEFALAMBRO ho pensato caspita!! Sì però, io, la Befana che faccio adesso… gli ho fatto un mezzo sorrisetto tra l’imbarazzato e scusa ma come ti permetti. Certo sia io che Enrico, beh sappiamo questa cosa, in questi anni insieme ci abbiamo anche un po’ giocato. Lo so che faccio un po’ paura ma se ne parliamo in modo esplicito ai bambini riusciranno a capire, insomma dobbiamo spiegargli proprio tutto!! E lui: “Ma sì, vedi, è importante. Con questa storia della paura stiamo facendo una gran confusione e dobbiamo spiegare ai bambini che un po’ di paura non fa male, però, però….. bla bla”….. così, quando sono rimasta da sola nella mia catapecchia ho iniziato a canticchiare la canzone di Jovannotti “Safari” e ho pensato, certo non è un caso, questa PAURA deve far PAURA a tanti. Jovanotti ad un certo punto canta queste parole:
“Ci dicono continuamente che nessuno è al sicuro
ma questo lo sapevo già
e non è mai stata una buona scusa
per barricarmi dentro casa
la tele accesa e la porta chiusa.
Safari
dentro la mia testa
ci son più bestie che nella foresta…”
Eccole le BESTIE!! Che ci fanno tanta paura, non solo ai bambini, anche a noi grandi sapete. Allora torniamo indietro, all’inizio della canzone, nella prima strofa Jovanotti canta così:
“La notte ha mille porte”.
Sì, così va meglio, possiamo quindi scegliere, abbiamo mille possibilità di fare un percorso, certo lo so, anch’io vi faccio un po’ paura bambini: un po’ gobba, con il buio che mi porto alle spalle, il sorriso un po’ sdentato, la vocina stridula…. ma per tranquillizzarvi voglio regalarvi una storia, così per capire che la paura non fa poi così paura se la conosciamo meglio. Come dice Jovanotti:
E’ TUTTO NELLA NOSTRA TESTA, ci gira dentro, ci scivola giù nello stomaco, ci fa traballare le gambe, poi risale in bocca e ci fa sbattere i denti, impallidire…. e tante altre cose fastidiose che nessuno vorrebbe provare… però insomma, a volte, lei la paura ci torna utile, ci fa crescere e questa favola vuole spiegare un po’ il perché.
IL CONIGLIETTO CHE AVEVA SEMPRE PAURA
Favola tratta da: Alba Marcoli, “Il bambino nascosto”, Favole per capire la psicologia nostra e dei nostri figli, Psicologia, Oscar Saggi Mondadori
Un giorno d’autunno il bosco fu percorso da tuoni, lampi e fulmini. Si era scatenato un temporale così violento come da anni nessuno ricordava. A un tratto il cielo era diventato nero, scuro come il carbone e il bosco era caduto nel buio prima ancora che il sole tramontasse. Una famiglia di coniglietti che era andata a spasso per il bosco era rientrata precipitosamente nella tana, mamma, papà e una nidiata di undici figli. I cuccioli erano quasi morti dallo spavento e dalla paura; una cosa del genere non l’avevano mai vista nella loro vita, e per questa ragione non pensavano nemmeno che potesse esistere. I genitori dovettero faticare moltissimo a calmarli e dovettero spiegare che quello era un evento che succedeva normalmente nel bosco, anche se non tutti i giorni. Però, nonostante tutte le rassicurazioni, i cuccioli un bel po’ di paura l’avevano ancora tutti quanti. Quello che ne aveva più di tutti era Undi, il più piccolo. Il suo problema era che la paura del temporale si era aggiunta a tutte le altre che aveva già dentro e che erano tante che a volte lui stesso si meravigliava di come in un corpo piccolo come il suo ce ne potessero stare un numero così grande. E così il coniglietto se ne stava acquattato in un angolo della tana e tremava ogni volta che il vento portava dentro il rumore di un nuovo tuono, ma a furia di stare in un angolo a occhi chiusi, alla fine si addormentò e cominciò a sognare. Gli sembrò di andare lungo un canale che non finiva mai e che correva in una campagna solitaria. Il canale era popolato da tanti strani esseri che lui non aveva mai visto: non avrebbe saputo dire se erano animali o piante o qualcosa d’altro. Si vedeva però che erano vivi e che bisbigliavano tra loro e la loro voce assomigliava a quella del vento nella brughiera in certe serate d’autunno. A un tratto Undi fu colto dal desiderio di sapere chi fossero questi strani esseri, si fermò, raccolse tutto il suo coraggio e chiese a uno: «Dimmi, chi sei? Come ti chiami?». «Che strano,» rispose l’altro «tutti i cuccioli mi conoscono, come mai tu non mi hai riconosciuta? Io sono la paura del buio, guarda come sono nera!» «E tu?» «Io sono la paura del temporale, senti che parlo come un tuono!» «E quell’altra laggiù?» «Quella è la paura del terremoto, vedi come fa traballare tutto!» «Ma allora voi tutte chi siete?» «Sei proprio un cucciolo con poca fantasia! Noi siamo tutte le paure che i cuccioli incontrano sul loro cammino. Siamo quelle che li aiutano a crescere e viviamo tutte in questo canale che scorre, scorre, giorno dopo giorno, come la vita dei piccoli e dei grandi» «Ma quante siete in questo canale?» «Ah, questo non lo sappiamo neppure noi, siamo tante, proprio tante; pensa che anche fra di noi non ci conosciamo tutte.» «Ma quando si cammina lungo il canale vi si incontra tutte?» «No, ci sono certi che ne incontrano alcune, altri ne incontrano altre; però qualcuna, come me, viene incontrata da quasi tutti», rispose la paura del buio. «Ma esiste una paura che sia più grande delle altre?» «Eh, sì» risposero tante voci in coro «esiste: è la Paura della Paura. Chiunque la può incontrare sul proprio cammino, anche i grandi, non solo i cuccioli.» «E dov’è questa paura?» chiese spaventato Undi per prepararsi a scappare se l’avesse incontrata. «Non lo sappiamo. E’ sicuramente lungo questo canale, ma nessuno di noi sa dove. La si può incontrare all’improvviso, quando uno non se lo aspetta, oppure la si può non incontrare mai; ma dove la si trovi nessuno lo sa.» «Ma allora voi siete delle cose cattive; bisognerebbe uccidervi perché fate soffrire tutti» disse il cucciolo arrabbiato. Gli sembrava proprio che fosse una grande ingiustizia che ci dovessero essere tante paure e che dovessero fare così male come facevano a lui ogni volta che se le sentiva dentro. Ma evidentemente le Paure non erano dello stesso parere, perché si sentì una voce che si levò dal canale e disse: «E’ qui che ti sbagli, Undi» (e il coniglietto si accorse che non era solo lui a conoscere le paure, anche loro lo conoscevano, se sapevano addirittura il suo nome); «noi siamo necessarie per poter crescere. Se tu non vuoi cadere nella trappola di un cacciatore nel bosco, è meglio che impari a conoscerla e ad averne paura. Sarà lei che ti aiuterà a evitare la trappola quando la incontrerai. Anche noi paure serviamo a uno scopo, come tutto quello che avviene nel tuo bosco.» «Ma a che cosa servite?» chiese incredulo Undi. «A fare esperienza e quindi a vivere. Ognuna di noi ha un suo significato e se si impara a conoscerlo si impara a vivere.» “Chissà se potrò arrivare a conoscere il significato delle mie paure” pensò allora il cucciolo. Forse era il modo giusto per liberarsene, una volta per tutte e così chiese: «Posso sapere il vostro significato?». Ci fu una risata: «Sarebbe comodo per te; così non dovresti faticare! Eh, no caro Undi, sei tu che devi scoprirlo mentre cammini lungo il canale. Però un aiuto te lo possiamo dare: puoi interrogare tre paure per sapere parte del loro significato. Le altre le dovrai scoprire tu». Il cucciolo pensò a tutte le sue paure, ma erano talmente tante che non sapeva da dove cominciare. Finalmente si decise. «Tu, che sei la paura del buio, mi dici a che cosa servi?» «Servo a liberarti dalle cose che ti spaventano dentro di te. Il buio è lo schermo su cui proiettiamo il film dei fantasmi che ci disturbano dentro. Man mano che un cucciolo cresce e che i fantasmi diminuiscono, anche la paura del buio di solito diminuisce e poi passa, perché ognuno impara a vedere con gli occhi della mente che fanno luce anche nel buio più profondo.» E con un guizzo la prima paura scomparve dal canale. «E la paura d’essere abbandonato?» «Eccomi,» rispose una voce lontana che poco a poco si avvicinò «eccomi qua. Io esisto dal momento in cui un cucciolo nasce. Agli inizi è un piccolo essere che ha proprio bisogno di tutto, che deve essere accudito dai genitori, che anzi morrebbe se ne venisse separato, non potendo sopportare un cambiamento così brusco come quello di passare dal corpo protetto della madre, o dal tepore, di nuovo al freddo, al vento e alla pioggia. Però, man mano che passa il tempo, tutti i cuccioli imparano, a poco a poco, a conquistare la sicurezza che quando erano piccoli i genitori davano loro, altrimenti corrono il rischio di restare sempre indifesi e bisognosi di protezione. Il segreto più semplice ed efficace è questo: se un cucciolo si porta nella mente un papà e una mamma che lo proteggono, si sente lo stesso sicuro, anche se per un pochino se ne deve separare.» E anche la paura d’essere abbandonato guizzò via lungo il canale e scomparve lontano. Ora a Undi restava l’ultima possibilità: ci pensò e ripensò, ma gli era difficile decidersi, poi la curiosità prevalse: «Potrei sapere il nome di almeno una parte di voi?». Forse il fatto di conoscere l’esistenza di tante paure, anche di quelle che lui non aveva incontrato, l’avrebbe aiutato a vincere le sue, pensava. «Sì, di alcune lo puoi sapere, ma non di tutte, perché siamo troppe. Ascoltaci» E così, a poco a poco, dal canale si levarono una dopo l'altra tante voci che si inseguivano come quelle del vento sull'erba di primavera:
«Io sono la paura di perdere gli amici.»
«E io che i genitori si dividano.»
«E io che la mamma scappi di casa.»
«E io della droga.»
«Di essere rapito.»
«Di andare sotto le macchine.»
«Del terremoto.»
«Della fine del mondo.»
«Di essere povero.»
«Di essere bocciato.»
«Di non parlare più.»
«Dell'ospedale.»
«Che la mamma muoia.»
«Che io muoia.»
«Di non camminare più.»
«Che ci sia sempre la notte.»
«Che si spenga la luce.»
«Dei brutti sogni.»
«Di restare solo.»
«Che crolli la casa.»
«Della terza guerra mondiale.»
«Di andare ogni minuto al gabinetto.»
«Di diventare amico del diavolo.»
«Di andare all'inferno.»
«Di essere arrestato.»
«Di essere paralizzato su una sedia a rotelle.»
«Di essere accoltellato.»
«Di non essere amato.»
«Che gli altri non mi vogliano.»
«Che aumentino le tasse.»
«Di perdere i sensi.»
«Di non pensare più.»
«Di non poter più ridere.»
«Di morire di fame.»
«Di essere picchiato.»
«Della cassa integrazione.»
«Di essere licenziato.»
«Di essere sfrattato di casa.»
«Di andare per strada nudo per mancanza di soldi.»
«Di fare sempre la pipì a letto.»
«Che i miei genitori non mi vogliano più bene.»
«Dei ladri.»
«Di morire di sete.»
«Che si spezzi il cuore.»
«Di vivere.»
E a poco a poco le voci si allontanarono tanto che il coniglietto non le sentì più. Un pochino però si sentiva sollevato perché aveva scoperto che esistevano anche delle paure che lui non conosceva e che non aveva mai incontrato. E così continuò a camminare lungo il canale, finché gli sembrò di inciampare su una grossa pietra e si svegliò. In realtà, muovendosi nel sonno, aveva sbattuto la testa contro la parete della tana, e si era svegliato. Fu allora che il coniglietto si rese conto che il suo viaggio era avvenuto in sogno. Si stirò un pochino, sbadigliò, si guardò in giro e si ritrovò tutto solo dentro la tana, ma questa volta non si spaventò tanto. Il vento non portava più il rumore dei tuoni e i suoi genitori e i fratellini erano usciti. Undi decise di uscire anche lui e scoprì che il temporale era passato e la luce del sole era tornata a brillare sul bosco e su tutte le gocce di pioggia ferme sulle foglie. Anche gli altri animali uscivano a godersi lo spettacolo. Tra poco cuccioli e anziani si sarebbero riuniti nello Spiazzo delle Sette Querce per raccontare le storie e ora anche lui aveva il suo sogno da regalare agli altri cuccioli perché anche loro imparassero il suo segreto. Qualche paura era rimasta là, dentro al sogno, e il coniglietto ormai non la sentiva più. Le altre sapeva che le avrebbe potute incontrare e affrontare, giorno dopo giorno, proprio come era avvenuto nel suo sogno lungo il canale. Ma, soprattutto, di una cosa si rese conto, stupito: che le paure non gli facevano più la stessa paura di prima. Evidentemente, anche se non se n'era accorto, nel cammino lungo il canale aveva incontrato e superato la Paura della Paura. Bene, bene, caro Babbo Mason ti mando questa storia nella speranza ti sia di aiuto per spiegare ai tuoi bambini di non avere troppa paura della paura………… per quanto riguarda i grandi………… beh è tutta un’altra storia ma nella saggezza delle favole si possono trovare tante risposte e voi bambini, ora che sapete il segreto della paura, parlate a mamma e papà e dite che non trovate giusto che certi uomini si approfittino di questa cosa per annientare i pensieri positivi, quelli belli che ci fanno sognare e non avere incubi, la paura se male usata può annientare i colori e la forza di reinventare ogni giorno un mondo a misura d’uomo o meglio a misura di bambino. Bravo Mason, sconfiggiamo questa idea perseverante, allarghiamo le ali della fantasia e che Jovanotti possa sempre cantare IO PENSO POSITIVO PERCHE’ SON VIVO!!
Un abbraccio, Befana
Iride Enza Funari
PICCOLE IMPRESSIONI DI LABORATORIO E ED ANCOR PIÙ PICCOLE RIFLESSIONI, ALLA BUONA!
A CASA DI ANTONIO ( il cubano)
“Uhei, geometra, come stai?”. Lui è seduto di fronte alla porta e a chi entra con la barba bianca, quasi immacolata, da bambino. Non l'ho mai visto senza il berretto. Di tutto un anno passato senza vederci non c'è traccia. Diversi bozzetti sono sul tavolo grande di legno ed intorno a questo altri visi conosciuti sono in attesa. Enrico passa i fogli come si passano le carte per la briscola, con la stessa naturalezza. Guardo Antonio seduto sul divano, fuma e sembra che guardi la televisione ma ho imparato a stargli vicino: proprio quando sembra distratto è il momento in cui filtra quello che ascolta e lo registra. A volte sembra che non ti veda nemmeno poi ti passa accanto e ti lascia cadere una parola vicino che è solo per te, unica e calda. E' un gatto. Conoscendo la mia passione per il toscano mi offre un cubano messo via nel sacchetto per non perderne l'aroma che rifiuto cortesemente in quanto non apprezzo i sigari. Mi dispiace, però. La sua è stata una attenzione particolare, per farmi stare a mio agio e per aprire di più la sua casa. Ci si sente bene con lui. “La Befana senza paura.” Questo è il tema del laboratorio di quest'anno. Difficile ma quanto mai centrato. La sensazione è che siamo defraudati anche della valenza positiva della paura da una sovraesposizione continua e mirata da parte dell'informazione e della società ai valori ormai normalmente mostrati e spesso ostentati come apparire, prevalere, superare, scavalcare, sfidare, vincere. Condizione necessaria di questa dinamica è l'operare affinché la paura svanisca e venga cassata, cancellata dalle menti sopratutto più giovani e assuma invece valenza di allarme e terrore, di tensione costante e incontrollabile . Che alla fine sia un mito dissolto. Una conseguenza potrebbe essere il crescere di generazioni che vedono annullate anche le paure istintive per merito e per mezzo di una parte della società onnipotente, onnipresente e padrona, quasi divina che attanaglia le menti attraverso la pseudo-protezione dall'allarme che essa stessa crea. La tensione sfocia poi nella aggressività madre della violenza e della fragilità. Quest'ultima diventa il filo conduttore delle esistenze e un'esistenza fragile è più facilmente controllabile; la violenza poi, si schiaccia semplicemente con altra violenza. Si apre una bottiglia di rosso e appaiono alcune fette di salame. Mason continua con le idee, le possibilità, chiede conferme. E' attento a ciò che viene detto come se fosse pronto a cogliere dalle idee come da un mazzo di fiori. Si accarezza la barba. Antonio sorride. Amo la confusione dei progetti iniziali che prendono successivamente una forma distinta. Acquarelli, disegni, voci, mani, vino, legno, amici, odori. Di nuovo tutto si fonde, di nuovo i confini si confondono, le idee camminano cambiano, volano e si trasformano. Violini e contrabbassi. Mi piace questa casa. Si ricomincia o forse non si era mai finito.
NOVEUNDICIDUEMILAOTTO (spaccalegna)
Il ponte di Agliate compare in fondo alla discesa, il Lambro è alto, torbido, pauroso. Scendiamo dall'automobile nel piazzale vicino al capannone, c'è già qualcuno. E' strano come possa accadere che dopo dieci mesi di lontananza da un luogo, quando ci ritorni, sembra di di averlo lasciato la sera prima. Una nascita a ritroso, un ritorno nel ventre. Respiro a fondo, ho bisogno di sentire gli odori. Legno e terra. Nel capannone tutto è fermo, cristallizzato. Mi ricorda il carro di Mangiafuoco con tutti i burattini appesi, in attesa. L'impressione è di ritrovare nella medesima posizione tutte le cose lasciate un anno fa. I luoghi, i posti cari ci attendono con pazienza, si fanno attraversare dai venti, coprire dalla neve violentare dai temporali ma rimangono lì, per noi. Nulla si fa oggi se non procurare il combustibile per le stufe nel laboratorio. E allora, spaccalegna! Spaccalegna e spaccapaura. Ogni colpo con la scure mi fa pensare a quel che resta dopo la paura. Il tronco spezzato e spezzato ancora salta ai lati del ceppo e rimane a terra inerte e non più compatto e duro. Le paure superate rimangono allo stesso modo. Le guardiamo increduli di averle temute e subite ed ora sono lì, come legna per la stufa, per dare calore, coraggio, per farci crescere. Io punto la scure e Giovanni picchia con la mazza, io punto lui picchia... Le paure molto spesso si sciolgono con l'aiuto degli altri. Che buon caldo vicino alla stufa!
CINQUE PASSI
Vivevo con la nonna mentre frequentavo l'asilo, nella grande casa sulle colline brianzole. Ricordo in quella casa un sottoscala lungo e buio ad angolo retto che era l'oggetto dei miei peggiori incubi. Partiva dalla lavanderia per finire chissà dove nelle viscere della montagna, o così a me sembrava. Passavo davanti a “lui” poche volte, il minor numero di volte possibile e forse meno ancora. Io ero piccolo e lui immenso e pauroso. Pieno di cose vecchie e strane come la balena di Pinocchio era in grado di risucchiare chiunque si soffermasse al suo imbocco. Davvero terribile! Di tutta la casa quello era un angolo a me oscuro. Ed oscuri erano i rumori di scorrere d'acqua, di tubazioni vibranti che vi sentivo spesso scuotere il buio. Una volta mi decisi ad entrare armato di un ridicolo lungo bastone che nemmeno si poteva muovere nell'angustia del luogo. Nel mio pensiero però, poteva con la sua lunghezza proteggermi di più da ciò che sicuramente mi sarebbe accaduto. Un passo...un altro e già la lampadina fioca della cantina non rischiarava più...un altro ancora, il cuore a mille e....una ragnatela mi si impiglia nei capelli...e un passo....e ancora uno...e poi un topo!! Attraversò il sottoscala per la lunghezza che riuscivo a vedere e mi passò tra i piedi. Mollai tutto, bastone e coraggio e volai fuori dal sottoscala, dalla cantina, dalla casa fino nel cortile dove passava la nonna Angela. “Nonna c'è un topo in cantina” nemmeno lo nominavo quel cunicolo” vieni, vieni di corsa!” Tradotto questo voleva dire “Vieni con me in quel maledetto sottoscala!” La nonna Angelina mi prese la mano. “Ven chi, nan” disse in dialetto. Vieni qui, caro. “Dove l'hai visto?” “Là, là nel sottoscala!” “ Bene, dovevo proprio cercare una cosa la dentro.” Eh, la nonna la sapeva lunga! Entrammo, lei davanti ed io come un cagnolino dietro. Era strano, ma la lampadina della cantina sembrava più luminosa. Del topo nemmeno l'ombra. La nonna credo facesse finta di cercare quella famosa “cosa”, che non trovò. Per dirla tutta, il topo non c'era mai stato. Era la mia paura che aveva la forma del topo. Cominciai nei giorni successivi a frequentare “l'ameno” luogo munito di una candela e lo trovai affascinante, colmo di cose dimenticate. Trovai anche uno sgabello mezzo ammuffito che pulii lo stesso pomeriggio e riportai nel sottoscala con uno scatolone che aggiustai come un tavolino. Misi la candela accesa sul tavolo mi sedetti e.....Io ero il topo!
SMS: QUANTI ARCHI HA IL PONTE DI AGLIATE? (la paura è un ponte)
Con tutte le volte che in questi anni ho guardato, attraversato, ammirato e vissuto il Ponte di Agliate, non ne ho mai contato gli archi. Che pirla! “Cinque archi, e ben tesi!” è la risposta. Anche questo sabato il Lambro è alto, limaccioso dopo le piogge abbondanti.
Di sotto gli archi
anche le fessure
tremano
i germani
si radunano
Mentre mi avvicino conto le arcate e il ponte mi appare come mezzo per superare un ostacolo. Per la prima volta colgo non più l'ovvietà ma la sostanza. Questa costruzione, come tante altre cose dentro me, non aveva superato il livello della banalità. Oggi, però, improvvisamentesi erge al rango di pilone centrale, di chiave di volta. Mi sembra che la figura stessa del ponte si adatti bene alla positività della paura. Forse per il primo albero caduto per caso appoggiatosi sul ciglio opposto di un fiume si sono aperti territori sconosciuti all'uomo. Forse il primo ponte naturale è servito per infrangere la paura di attraversare un torrente impetuoso, e questo passaggio ha aperto a nuove terre magari più accoglienti o fertili. La paura è il ponte ed il suo superamento il mezzo per crescere. Superare non è però sinonimo di cancellare. Se io supero una paura non significa che non ne abbia o che non ne avrò in futuro. Semplicemente ho percorso il “ponte”.
Se poi
ponti e fiumi
si confonderanno
per le nebbie
e venti e correnti
solo a tratti
ne rischiareranno
le sembianze,
aspetteremo inermi
di perire inconsci
figli del terrore
o saliremo sul carretto
dei girovaghi
a tentare la sorte
a costruire la vita?
IL CARRETTO (cartone e graffette)
Abbiamo cominciato la costruzione di un carro gitano o circense. Non ho ancora capito bene. Carro di zingari, giocolieri, girovaghi. Cosa accomuna? Qual'è il motivo che unisce? O è il carro il fulcro? Come al solito il bello è che le cose si capiscono in “corso d'opera”. I girovaghi per definizione non hanno dimora, lavoro fisso, non operano in modo stabile in un luogo, sfuggono quindi al concetto tutto nostro di sicurezza sociale ed economica. Proprio questo termine “sicurezza” così usato in questo periodo. è il chiavistello per aprire il lato oscuro delle paure umane. La mancanza di tale stato d'esistenza fa spavento come intimoriscono tutti coloro che la snobbano e scelgono viaggi diversi. I “vaganti”, quelli fuori dal controllo, sono proprio loro. Mentre incollo e graffetto, penso che si può essere gitani anche col pensiero e, forse, fa più paura ancora. Chi non è omologato è imprevedibile e come tale scardina le logiche comuni. Il mezzo per continuare oltre la paura è la conoscenza. Se conosco non temo e per conoscere devo affrontare. Se non affronto soccombo, divento vittima dell'ignoranza bagno di cottura per la paura. “Ma pensa che bello, salire tutti su 'sto carro e andare via...” chi parla è Sandro. Guardiamo insieme il carro ed abbiamo un bicchiere di vino rosso in mano. Non scappare, andare via. E non è lo stesso. Il carro può essere conoscenza, la sua stessa sostanza implica il viaggio, l'altrove, il diverso da, sottintende la rottura con la stabilità Oltrepassare l'incognito fuori e dentro, non averne paura, credo sia la soluzione che propone. Il carro è dissacrante e anti-dogmatico.
SABATONUVOLO (haiku del fiume)
premono il cielo
nere nuvole bigie
annusa il cane
scivola il fiume
sotto la pioggia trema
il topo e guarda
mosse le canne
sottovoce parlano
il pesce ascolta
il vento lascia
scosse le foglie gialle
vibra l’anima
Aldo
Ogni anno la "Befana" svolge e articola un tema sempre diverso. La scelta del "titolo" nasce non tanto da una casualità o una improvvisazione estranea a tutto ma da un sentire, un esplorare i momenti della vita sociale e culturale che più ci allontanano dalla sua partecipazione.
Per questo la "Befana" si avvale di tanti contributi verbali e scritti.
Contenuti verbali per avere la conferma o la critica del nostro "sentire" per quanto riguarda l'importanza di questo mito, la Befana, principalmente rivolto ai bambini ma dove gli adulti richiamano ed esplorano le loro emozioni che incidono sull'immaginario collettivo. Da questo "parlare" si concretizzano poi i pensieri in contributi scritti.
Su questi ed altri scritti si apre spesso il dibattito, il confronto con operatori ed educatori ma anche semplicemente con genitori e persone che hanno a cuore la salvaguardia della poeticità e della meraviglia del mondo infantile al quale la Befana e il suo mito di passaggio tende.
IL LABORATORIO E' APERTO PER TUTTI I BAMBINI AD AGLIATE
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tel. Enrico Mason 0362.906294
Dal 1987 l'arrivo della Befana sulle acque del fiume Lambro la vigilia dell'Epifania è diventata una teatralizzazione che si svolge nei pressi del ponte di Agliate (MB)
Promosso da Associazione Commissione Cultura Alternativa (CCA) di Carate Brianza, dal Comitato per il diritto al Mito-Festa dei bambini e dalla gente della valle del Lambro.
Con il patrocinio e il contributo di: Provincia di Monza e Brianza - Parco Valle del Lambro
Comuni di Carate, Albiate, Briosco, Giussano, Macherio, Sovico, Verano
Per informazioni Tel. 0362-906294 Cell. 3395984689 e-mail: rosesco@tin.it
SCHEMA DELLA TEATRALIZZAZIONE:
AZIONI D'ATTESA
- Chiamare la Befana
- I matti dal fiume
- Suoni dal vivo
LA TEATRALIZZAZIONE
IL BUIO
A. Anfiteatro di luci
B. Torri di luce
C. Fiori e fiamme
D. I racconti di ombre della scatola magica
E. Luci a filo d’acqua
F. L'albero dcelle meduse
G. La luna ferita
H. Bruciano gli "scaccia paure"
I. "Accampare paure"
L. Giravolte accese sul fiume
M. La grande paura
LA LUCE
N. Liberi dalle paure
O. La casa-carro in festa
P. Arriva la Befana e la barca delle dualità
Q. Doni alla Befana
R. La Befana incontra i bambini
S. Il saluto della Befana