La Befana abita nell’immaginario.
L'immaginario non è un luogo che non esiste, l’utopia idealizzata o la fuga insipida, né repertorio o un deposito di immagini fisse e standardizzate a disposizione, o, peggio, preconfezionato ad uso degli imbroglioni. L’immaginario è un movimento, un turbine creativo, l’azione della fantasia; è la capacità di inventare immagini di desiderio. È fatto della stoffa dei sogni, di sogni ad occhi aperti. Questi sono diversi dai sogni notturni, i sogni in cui l’io svanisce e il mondo si dissolve, in cui si sogna da soli. I sogni ad occhi aperti sono invece sogni intensi e reali e che si sognano insieme agli altri. Questa vita felice e di sogno, per i bambini: arretrando per lo spavento di un animale troppo, troppo, grande, esitando per il suono di un tonfo nell’acqua, inseguendo l’azzurro di una luce colorata sul fiume. Dai sogni ad occhi aperti, da questi sogni di felicità, è attraversata la vita di tutti gli uomini: sono i sogni di una vita migliore che si ribellano alla fatica e al dolore dell’esistenza.
L'immaginazione è negazione della realtà visibile, negazione di questo mondo e tensione verso un altro mondo. Allora, la capacità di nullificare dell’immaginazione, la sua capacità di produrre un’assenza dentro la presenza, la sua capacità di introdurre una breccia nella durezza e nella compattezza dell’essere è forse il sorgere stesso della coscienza e della libertà. Immaginando, l’uomo è sempre oltre il dato ed è sempre oltre se stesso. Grazie all’immaginazione, l’uomo si sottrae al presente immobile ed entra nel tempo, ha una storia e può cambiare.
Quest’anno, la sera del 5 gennaio, la Befana sul Fiume Lambro ad Agliate sarà assente, sarà altrove; perché non appartiene a un luogo, ma a tanti; tanti quanti sono coloro che sognano ad occhi aperti. Il desiderio, e con lui la sua immagine, ogni volta è solo mio; eppure, non è di me solo: uno stesso desiderio e la stessa speranza attraversa le generazioni. Qualcosa accade in questo passaggio al segreto: sul fiume, anche se non saremo là, accade senza che nessuno veda, come accadono le altre storie che il fiume aveva sentito raccontare prima della nostra: la festa di Pasqua, la prima festa di primavera, la bocca del Gorgone, il tuffo del Bartolomeo dal ponte di Agliate. Anche se non saremo là, tutta questa poesia e vita sarà stata presente. E resta là in attesa, carica di futuro. Resta dentro chi l’ha vista senza averla capita e in chi non l’avrà mai vista, perché tutta questa vita e poesia ci ha visti per prima, ed attende di essere raccontata, ancora meglio.
Vorrei ringraziare tutti voi, per il gioco serio che abbiamo giocato insieme, per questo sogno ad occhi aperti che abbiamo vissuto collettivamente.
Mario Vergani
18 dicembre 2022, Befana sul Fiume Lambro
Sono cresciuto lì con il mito festa proiezione dei contenuti della nostra cultura politica.
La festa i suoi contenuti legata alla tradizione all'uso riuso dei materiali poveri come elemento di un modo di concepire la vita.
La befana il laboratorio come azione collettiva ci ha seguito lontano dal Lambro in Umbria in Basilicata dando momenti di gioia in luoghi di dolore "personali" e di molta gente.
Con la befana ci ha sempre seguito Felice ovunque.
Si è seminato a volte con risultati sconfortanti o esaltanti allo stesso tempo.
La befana non si fa quest'anno ma c'è e rimarrà sempre nei ricordi nei racconti miei "compagni di me"
Ciao a tutti e grazie infinite....
Enrico ti voglio bene.
Alla prossima....
(Giuliano Santelli da Orvieto)
Il Capannone. Con la C maiuscola, perché di capannoni ce ne sono tanti - soprattutto in Brianza - ma quello è
Il Capannone. Un freddo siderale e la nebbia tutto intorno, silenzio e nulla cosmico, colore grigiastro sfumato
di blu e verde bosco nella stradina che lo circonda. Sembra quasi una visione onirica, ma è solo l’immagine
che ne ho io: in realtà a volte, soprattutto di giorno, può sembrare solo UN capannone.
Sarà che io so cosa c’è dentro: e dentro è un sogno per davvero, ti ci immergi, non è più una visione.
Come prima cosa ad accoglierti c’è un cartello, cangiante: BEFANA, LAVORI IN CORSO.
Intorno si intravedono strutture di vario tipo, coperte da teli. Ancora qualche passo e si valica una porta: ed
ecco che si diventa in qualche modo parte di quel sogno.
I personaggi sono tanti: il Mason in primis, sempre presente. Narima e tante altre persone, e poi i fogli di
carta velina, le forbici, gli attrezzi, e cassetti pieni di
cose tutte ben catalogate, che per creare ci vuole
organizzazione: e allora pennarelli, colle, fili di ferro,
legni. Poi la gatta, animale totem del laboratorio
(che è morta l’anno scorso, l’ultimo della Befana...).
La stufa e il tè per scaldare la pancia e le mani, il
silenzio del lavoro, gli ordini impartiti in modo
sbrigativo. Questa è la Befana sul Lambro, per me.
Più della serata in sé – il 5, non il 6, perché la Befana arriva il 5 per poi andare di casa in casa la notte.
Quando ero bambina mi svegliavo ansiosa di aprire il sacco di iuta che conteneva nocciole, sassi, pastelli,
carbone dolce, tutte cose portate da quella vecchietta che avevo visto la sera prima, mentre arrivava sulle
acque del fiume dentro una barchetta piena di frutti, giocattoli, fiori, tutti creati nel laboratorio.
Quando sono cresciuta, questo sogno non mi ha abbandonata, al contrario l’ho riprodotto, per vedere poi lo
stupore di altri bambini e bambine sulle rive del Lambro.
La Befana era quell’appuntamento immancabile, non per dovere di presenza, ma per appagamento
personale nella collettività: un gruppo variegato e multiforme, familiare prima, di comunità poi, la comunità
del Capannone e quella dei paesi, di tutte le persone sulle rive del fiume con in mano le lanterne di carta
velina. La Befana era diventata identità: “Ma ci siamo visti al capannone?” C’entri qualcosa con la Befana sul
Lambro?”, e ci si riconosceva in quella consapevolezza di aver partecipato a qualcosa di bellissimo, poco
comprensibile a chi non ne aveva fatto parte.
È difficile rispondere alla domanda su cosa sia la Befana: descriverla la banalizza, perché non è affatto una
sfilata di strutture e personaggi. E’ una messa in scena, certo, ma di un rito collettivo, di una festa che fa
vivere il mito. La ripoeticizzazione dell’infanzia, questo uno dei concetti alla base di questo gioco serio.
Ri-poeticizzazione, perché occorre riprendersi ciò che ci sta venendo strappato via: lo stupore, la possibilità
di immaginare, il senso dello stare insieme lottano per non essere mangiati da consumismo e lucro,
individualismo, accelerazione dei tempi in nome della produttività. Gioco serio, perché è con serietà e
rispetto che si lavora insieme, che si costruisce questo viaggio onirico fatto di impegno, volontà e
immaginazione comuni. E perché alla base c’è un obiettivo
ambizioso: riappropriarsi, in questo mondo fatto di velocità e
atomizzazione, del mito, dell’attesa, della scoperta.
I miti collettivi aiutano a comprendere la realtà, anche le sue
parti più tristi, fornisce lenti per leggere concetti importanti
per vivere e crescere, per ridefinirsi di fronte a paure,
angosce, speranze, negazioni.
Forse anche per questo durante la pandemia mi è mancato
molto il rito della Befana, ma lei è venuta in mio soccorso: non sarà un virus a fermarla, ovviamente (che
sciocchezza pensarlo), quindi è necessario continuare a creare scaccia-spiriti maligni e lanterne per aiutarla
a trovare la strada.
Dunque il rito si trasforma, perché il mito rimane: nemmeno quello di quest’anno è, dunque, un addio.
Non ci sarà più la festa come la conosciamo, ma questo non significa che la Befana smetterà di volare. Sta a
noi pensare se e come accompagnarla. Lei intanto ci ha mostrato ancora una volta un altro aspetto della
realtà: “sa e vede tutto, e ha compreso che nella conquista del sì e del no della vita c’è anche la
separazione".
Lei stessa, però, ci ha dato anche il potere di immaginare: e quello resta, potentissimo, attaccato ai sassi
del Lambro, mitico fiume offeso ma che testardamente non si dà per vinto e continua a ospitare vita – tra
cui quell’airone cenerino che ogni volta che torno mi viene a
trovare.
Resta, questo potere, e si rinnova, ma solo se ci crediamo, se
non lo abbandoniamo, se lo riproduciamo in ogni percorso
che tracciamo. E chi ha vissuto davvero la Befana sul
Lambro, non sarà mai capace di metterlo da parte.
Chi si/ci chiede perché non si sia riusciti a dare un seguito, a renderla una festa di paese istituzionalizzata, a
monetizzarla, a farla sostenere dai bandi, vuol dire che in questo sogno forse non ci entrato: l'ha visto
magari, ma non si è dato l'occasione di farne davvero parte, di lasciarsi stupire, di credere nelle emozioni
che sentiva. Non si è lasciato andare alla ripoeticizzazione. La Befana non può avere altra forma che quella
assunta finora: perchè la Befana è fortemente anticapitalista, come suggerisce in una formula tanto netta
quanto chiara mia cugina. Viaggia su altri canali (i fiumi). Usa altri linguaggi (i simboli). Ha altri mezzi (la
scopa).
E ha altri fini, molto più nobili della produzione, del guadagno, della velocità: quello di farci credere che sia
tutto davvero possibile.
(Serena Chiodo)