GIRAVOLTE E RAGGIRI.
Per approdi di feste
Quando arriva la befana, chi viene sulle sponde del Lambro è lì per vedere quel che è invisibile agli occhi. Per questo, i più curiosi, come sempre, sono i bambini, i cui occhi limpidi sono i migliori per vederci chiaro al buio…
Vedere cosa? La befana che porta con sé sul fiume la sua corte dei miracoli. Li accompagna e li introduce, con giravolte e raggiri.
Raggiri, perché la befana per aver accesso è costretta ad operare un inganno; deve girarci intorno se vuole trovare il pertugio che le consenta di entrare. Come sarebbe possibile altrimenti vedere quel che è invisibile agli occhi, se non lateralmente, se non attraverso uno sguardo differente, obliquo, quello della critica e dell’arte?
Giravolte, perché quel che è invisibile non è né qui né là e in nessun luogo, ma negli occhi di chi vede. In effetti, non si sa bene da dove venga la befana prima di superare le arcate del ponte, né dove poi sparisca. Un giravolta dopo l’altra, il suo cammino è una peripezia. La direzione non è chiara e non si sa bene dove guardare, finché, immersi in un brulichio di fantasmi, in danze e giravolte, la testa gira e il corpo cade, indicando improvvisamente la strada, una per ciascuno, imprevedibile.
Sugli stratagemmi da lei ideati, che sono poi le macchine e la teatralizzazione inventate ogni anno dal laboratorio e sempre nuove, riflette la befana sul fiume Lambro 2012.
Il raggiro quest’anno è simboleggiato da un grande cavallo, al tempo stesso giocattolo e astuzia greca per scardinare le mura della città – di nuovo il simbolo è doppio, come sempre ogni elemento nel campo del gioco, nel reame dei sogni e dell’infanzia. Scuote e smuove così l’antico deposito di simboli sedimentato nel profondo di chi guarda. Ma per noi cosa significa? Il cavallo evoca il complotto o la congiura che i partecipanti ordiscono ogni anno nel ventre del laboratorio, per forzare l’immaginario precostituito e preconfezionato e dunque chiuso come le mura di una città; il nostro stile di vita e il nostro sistema consumistico hanno infatti bisogno per imporsi di esercitare un’enorme violenza simbolica e di assoggettare l’infanzia a tale immaginario impoverito. Devono privare i bambini della loro capacità di vedere l’invisibile, per costringerli ad una rappresentazione della realtà da accettare a scatola chiusa.
La befana arriva e con lo stratagemma del cavallo introduce i suoi compagni: i portatori, gli animali, le lanterne, i danzatori, il matto, i fuochi, i bambini… Con l’inganno, perché sappiamo ormai da anni che è necessario essere strategici: non c’è gesto eversivo che immediatamente non venga riassorbito e normalizzato. Così è anche per il gioco. Questo ha delle regole che si collocano un passo dentro e uno fuori la realtà, dunque disequilibra e spiazza; ebbene, questa ricchezza viene ridotta ad una ripetitiva reazione ad impulsi elettronici. Ma una volta sacrificate le straordinarie risorse produttive dell’immaginazione, quando il gioco non è più spazio di libertà e di invenzione, ecco, allora la sua carica eversiva è stata riassorbita e normalizzata.
Invece, i raggiri della befana, ovvero le cornici poetiche che ogni anno allestisce sul fiume, sono supporti che non sostituiscono una realtà con un’altra - non è un momento di evasione - ma che consentono di vedere altrimenti questa stessa realtà. Dunque non sono finzioni o pallide copie della realtà, ma un altro mondo e tuttavia non altrove, ancora lo stesso mondo, ma altrimenti.
Le giravolte e i raggiri della befana sono invenzioni, sponde offerte, perché l’altro, infine, e i bambini in anticipo su tutti, vedano quello che, invisibile, nessuno aveva mai visto prima. Sono sponde per approdi di feste.
Mario Vergani